Inquinanti, vecchi di 20 anni e antieconomici. Queste la caratteristiche dei siti in costruzione ad Acerra e Santa Maria la Fossa

Termovalorizzatori, l’inganno totale

Scienziati internazionali si scagliano contro la costruzione degli impianti
29 marzo 2007 - Francesco Maria Cirillo
Fonte: Napolipiù

Lo spettacolo di un prestigiatore è fatto di tre parti: la promessa, la svolta e il prestigio, ovvero la riapparizione.
In Campania questo semplice schema per l’intrattenimento di grandi e piccini sembra essere diventato la spina dorsale per la gestione della decennale emergenza rifiuti.

LA PROMESSA
Partiamo, dunque, dalla promessa: uscire dall’emergenza.
Da più di dieci anni si parla di situazione ai limiti della vivibilità. Cumuli di spazzatura invadono con eccezionale precisione le strade di Napoli, della provincia e dell’inte - ra regione. All’arrivo del caldo primaverile scattano, di consueto i primi allarmi: scoppierà la nuova emergenza. Campania a rischio epidemie. A questo canovaccio, sempre uguale a se stesso, fa eco la risposta delle istituzioni che rispondono con fermezza e speranza: «Abbiamo costruito sette impianti di cdr, - afferma Antonio Bassolino, presidente della Regione al Corriere della Sera il 2 luglio 2004 - realizzati i siti di stoccaggio, chiuse tutte le discariche per i rifiuti indifferenziati e aumentato la raccolta differenziata.
Abbiamo lavorato duramente affinché anche la Campania avesse il suo ciclo integrale di smaltimento ». Peccato, però, che poco dopo, nel 2005, i sette impianti Cdr costruiti dalla Fibe sono stati posti sotto sequestro perché considerati non a norma e che parte delle discariche, come quelle di Giugliano, sono state riaperte. Passano gli anni, ma le cose non cambiano. «Ora bisogna dare risposte positive, alle questioni poste dal commissario straordinario Guido Bertolaso - afferma Bassolino sul suo sito ufficiale, http://www.presidente.campania.it - Attenzione la legge non risolve all'improvviso l’emergenza nella quale ci troviamo. Certo ci rende tutti più forti e responsabilizza, come è giusto che avvenga, tutte le istituzioni e le forze del territorio. Dobbiamo ben gestire il passaggio dalla fase di commissariato straordinario, al rientro nell’ordinario e questo significa contribuire, adesso, ad uscire dall’emergenza». Nel frattempo i fondi piovuti sulla Campania, da Unione Europea e governo nazionale, per uscire dall’emergenza si perdono nelle decine di delibere e ordinanze toccando cifre da capogiro.

LA SVOLTA
A questo punto si è giunti alla svolta, ovvero la costruzione dei termovalorizzatori. Bassolino, sempre nel 2004, affermava al Corriere: «[Gli inceneritori] bisognerà farli, convincendo le popolazioni locali che sono necessari. Non si può essere contro tutto e il contrario di tutto. I termovalorizzatori esistono nella gran parte della città eurpee e, a volte, perfino nel cuore delle metropoli». Una sorta di manna dal cielo, utile per eliminare ogni problema senza alcun problema. E così, dunque, si arriva al prestigio, ovvero alla sparizione del problema: i rifiuti. Con la costruzione degli impianti di Acerra e Santa Maria la Fossa dovrebbe scomparire del tutto il problema dei rifiuti in Campania.

IL PRESTIGIO
Ogni prestigiatore che si rispetti, tuttavia, è consapevole che dietro ad ogni magia c’è un trucco. In questo caso il trucco è che non c’è trucco. In questo caso, quello che si produce dalla distruzione diventa ancora più dannoso dell’originale. «Gli inceneritori non sono soltanto all’origine di un immenso, insensato spreco di materiali preziosi, ma sono anche tra gli impianti industriali più inutili, nocivi e rapidamente distruttivi di ecosistema e vita. - afferma Ernesto Burgio, vicepresidente italiano dell’International Society of Doctors for the Environment, ovvero dei medici per l’ambiente, nel documento “L’inganno dei termovalorizzatori”a cura di Luigi Bergantino e Flora Micillo - E l’effetto più temibile e menonoto di questi eco mostri concerne proprio il loro possibile impatto distruttivo sugli organismi. La realizzazione di questi impianti
produce milioni di metri cubi di gas e ceneri volanti che contaminano il mondo vegetale e animale, così come milioni di tonnelate di ceneri di fondo che si depositano alla base dei forni e che devono essere smaltiti in immense discariche di rifiuti speciali che finiscono, inevitabilmente, con il finire nelle falde idriche avvelenando la catena alimentare dell’intera biosfera campana.
Le sostanze prodotte negli inceneritori sono tra quelle più dannose, dato che generano particelle di diossine e furani e metalli pesani che trasportati dalle particelle microscopiche prodotte dalla combustione si impossessano dei nostri apparati respiratori e digerenti. Per decenni abbiamo ingerito nanoparticelle di cromo, piombo e mercurio che hanno distrutto i meccanismi di difesa umani generando l’incredibile crescita di tumori e leucemie». Secondo le ricerche dell’Istituto nazionale tumori di Genova ogni giorno, dall’impianto di Acerra, verrebbero emessi 584 milioni di picogrammi di diossina nel l’atmosfera, mentre per l’Unione Europea il limite per cittadino adulto è di 140 picogrammi al giorno. Dividendo tali cifre per la popolazione residente di Acerra risulta che ogni cittadino sarebbe esposto quotidianamente a circa cento volte il limite consentito. Ma i problemi legati alla costruzione degli impianti sono legati anche a motivazioni di natura economica. «Basta compiere un semplice calcolo dei costi di produzione di energia per capire quanto siano poco produttivi. - continua Burgio - Cifre ufficiali alla mano, il costo di un megawattora di energia prodotto da un impianto idroelettrico è valutabile intorno ai 65 euro, in un impianto eolico intorno ai 60, in un impianto a biomasse intorno a 120. Mentre produrre le stessa quantità di energia tramite l’incenerimento di rifiuti solidi urbani con “recupero energetico” costa 228 euro, senza mettere nel conto il costo di smaltimento delle ceneri e i danni incalcolabili alla salute umana». Un trucco, dunque, che non solo è nocivo in via diretta, a causa delle emissioni di sostanze tossiche prodotte ogni giorno, non solo è del tutto antieconomico, ma ha anche un’altra pesantissima ricaduta: l’agricoltura.

IL SIPARIO
Secondo studi dell’Arpac, il Napoletano e il Casertano sono tra le zone più inquinate della Campania. Le stesse zone dove vengono prodotte, pesche albicocche, mele e ciliegie. Secondo stime di Confagricoltura l’80 per cento della frutta del Napoletano viene prodotta n el l’area giuglianese, così come nell’acerrano-nolano vengono prodotte patate, cavolfiori e insalate destinate al vastissimo mercato della zona. La strettissima connessione tra l’inquinamento dei suoli e delle acque con la produzione di tonnellate di prodotti agricoli e ortofrutticoli inquinati sembra però non essere stata notata neanche dall’assessore regionale all’A g r icoltura Andrea Cozzolino, che promoziona i prodotti locali senza mai premere affinché questi cibi non possano essere più dannosi per l’uomo. Nella programmazione economica 2000-2006, la Regione in questo campo ha fatto poco, per quella 2007-2013 le attese non sembrano essere delle più rosee vista l’assenza, pressoché totale, dell’argomento da proclami e dichiarazioni d’intenti di Palazzo Santa Lucia.

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