Il numero uno della Rocca ripercorre la sua esperienza dagli arresti domiciliari all’obbligo della firma

«Il caso rifiuti rischia di travolgere la giustizia»

Cimitile: dopo la politica, il mondo accademico ma pure la Magistratura entrerà nel ciclone
18 giugno 2009 - Gianni De Blasio
Fonte: Il Mattino Benevento

«Ma chi me lo fa fare?», lo smarrimento di Aniello Cimitile è durato un amen: «Dobbiamo dire ai giovani di continuare a credere nella politica». Il presidente è tornato al suo posto alla Rocca: rose rosse, pasticcini e spumante per brindare al rientro nelle funzioni, con sospirone di sollievo del facente funzioni Barbieri. Di buon mattino ecco i finanzieri alla sua porta, le notificano l'ordine di arresto. Quale la sua reazione? «E' atroce dirlo, ma ho ringraziato il cielo che i miei genitori non fossero in vita. Appartengo ad una famiglia che per costume morale, considera l'arresto la fine del mondo. Ho avuto un attimo di smarrimento: mi vedevo già in ceppi. Mi sono chiesto cosa diavolo avessi fatto per meritarmi un'enormità del genere. Poi ho cercato di fare coraggio ai miei e ho offerto il caffè ai finanzieri: li vedevo in difficoltà, avevano compreso di essere piombati in una casa di gente perbene». Revocato l’obbligo di dimora, resta l'obbligo della firma: le basta? «Ovviamente no: sono convinto anche su questo di dover ripristinare fino in fondo il mio onore di ricercatore riconosciuto a livello internazionale. Quest'obbligo non lo capisco, non ho letto la sentenza». Che idea si è fatto di questa vicenda? «Credo che la spazzatura stia travolgendo le strutture portanti della società civile campana, contribuendo a tenere in piedi un teorema che descrive la regione come tutta marcia: nella sua società politica, nella popolazione; nelle imprese e nei suoi tecnici; e marcia nello stesso mondo della ricerca scientifica e dell’Accademia. Se questo è vero, pur avendo fiducia nella Magistratura, temo che essa, inseguendo tale teorema, assuma provvedimenti privi di fondamento, rischiando di non fare giustizia giusta. La Campania di tutto ha bisogno fuorché di una giustizia che sia cieca e lenta. Ma, lo dico alla mia parte politica, non possiamo nasconderci i problemi, dobbiamo pretendere la neutralità dei giudici. Ben sapendo che, nella storia della giustizia, esistono pure sentenze infami». Ma cosa le viene contestato? «Innanzitutto che non avremmo fatto un collaudo funzionale dell'impianto CDR di Casalduni, ma l'incarico ricevuto era relativo ad un collaudo tecnico-amministrativo, ossia accertare che l'impianto era stato realizzato a regola d'arte e secondo le previsioni progettuali. In altri termini, noi non avevamo il compito di accertare se l'impianto era idoneo alle necessità, ma solo se era rispondente al progetto. Sulla sua funzionalità esiste il collaudo funzionale, che è tutt'altra cosa e richiede altre professionalità. Non era nostro compito verificare l'efficacia della lavorazione, né potevamo sapere se c'erano contestazioni da parte ministeriale». Era stato interrogato? «Fui convocato dalla DIA nel 2004, come persona informata dei fatti, e rispondendo ad una precisa domanda, dissi chiaramente che non era nostro compito procedere al collaudo funzionale. Insomma, io non dovevo sapere cosa facesse quell'impianto; ma solo cosa c'era dentro». C'era però anche un'altra accusa... «Sì ed è relativa al trituratore, la prima macchina che s'incontra nell'impianto che, secondo l'accusa, sarebbe stata difforme da quella prevista. Ma non è così perché il progetto riguardava solo le caratteristiche generali, che sarebbero state dettagliate in seguito. Successivamente, e prima che io avviassi il collaudo, l’Impresa specificò con un proprio fax - da me esibito alla Magistratura - che avrebbe installato nell'impianto di Casalduni la macchina che è ancora oggi al lavoro. Stiamo parlando di una macchina che nell'economia dell'impianto pesa per appena l'1%. I problemi di Casalduni e della gestione del ciclo rifiuti non provengono certo dal trituratore: pensare il contrario è una corbelleria tecnica». Ha mia pensato di dimettersi? «Non ma riflettendo sulle mie responsabilità istituzionali, ho pensato di mollare non solo la presidenza, ma tutto: la mia attività professionale e di ricerca scientifica. Ho servito per anni la pubblica amministrazione; non ho mai negato il contributo delle mie competenze scientifiche né a alla destra, né alla sinistra: ho lavorato con Rastrelli, con Losco, un pò meno con Bassolino, ho lavorato con Ministeri, Regioni, Istituti scientifici italiani ed esteri, il più delle volte a titolo gratuito. Ebbene, dopo quanto è successo, è inevitabile chiedersi chi voglia più assumersi responsabilità a servizio delle Istituzioni. Dobbiamo abbandonare passioni, spirito di servizio, coraggio? Il presidente della Provincia deve essere anche un eroe? Poi ho pensato: il mio Paese non può ridursi a questo». Lei è stato arrestato proprio perché presidente della Provincia. «È la parte del provvedimento più indigesta ed incomprensibile: la Provincia non c'entra, oltre al fatto che io di collaudi in tutta la mia carriera ne ho fatti quattro in tutto, avendo sempre preferito la ricerca alla professione di ingegnere, ed inoltre la mia responsabilità istituzionale mi porta a rifiutare tali incarichi, com'è avvenuto con la Provincia di Trento». Ha ipotizzato un complotto politico? «No, ma mi fa male che proprio l'essere presidente della Provincia abbia indotto il Magistrato ad ordinare l'arresto».

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