Ripercorse le varie fasi dalla prima lupara bianca all’assalto di un commando in un impianto di calcestruzzi

I retroscena di Spartacus la crisi di nervi del boss

La reazione di «Sandokan» al pentimento di Basile
6 giugno 2009 - Marilù Musto
Fonte: Il Mattino Caserta

Declassato a «simulatore», pentito di convenienza e, infine, definito malato di disturbi psichici. Luigi Basile sta scontando i suoi ultimi giorni di vita in carcere, come tutti i boss della camorra, senza sconti. Era il braccio destro di Antonio Bardellino, il vivandiere dei Nuvoletta fino alla scissione, il successore del boss ucciso in Brasile, colui che vide per l’ultima volta vivo Paride Salzillo. Era stato il primo pentito del clan dei Casalesi. Vincenzo De Falco, preoccupato che il clan potesse farlo fuori, aveva garantito per lui. Basile lo tradì. Si recò alla caserma Pastrengo e consegnò una pistola. Poi disse ai carabinieri che era scoppiata una guerra a Casale e che i Bardellino non erano sicuri nemmeno a casa loro. Francesco Schiavone, appresa la notizia del pentimento di Basile, ebbe una crisi di nervi, si graffiò la faccia e maledisse De Falco. La ricostruzione dell’omicidio di Paride Salzillo raccontata da Basile venne poi definita inutilizzabile dai difensori di Francesco Schiavone «Sandokan» e degli altri, ma la storia criminale dei Casalesi parte proprio da lui, pentito a metà, malato e ormai anziano. La corte di Assise di Appello di Napoli ripercorre tutte le fasi dell’ascesa del nuovo gruppo capeggiato da Sandokan, dal 1988 fino al 1996. Alla fine emette 16 ergastoli. I pilastri narrativi del processo Spartacus sono quelli della sentenza di primo grado della seconda sezione di corte di Assise di Santa Maria: Dario De Simone, Giuseppe Quadrano e Franco Di Bona e in buona parte Carmine Schiavone. In fila vengono ripercorsi tutti gli eventi che hanno segnato la storia della camorra casertana. Il primo omicidio di lupara bianca è quello di Giuliano Pignata, il cui cadavere in decomposizione venne poi spostato dal pozzo in cui si trovava e sepolto in campagna. Poi quello capitale, spartiacque, di Bardellino a opera di Mario Iovine e quello del nipote Salzillo, strangolato sulla sedia con un filo di caciotta, il cui corpo venne poi gettato nei Regi Lagni. Dopo la prima fase della guerra che trascinò i parenti di Bardellino a Formia e, solo in seguito, in Svizzera, la seconda fase inizia con la trasferta dei Casalesi a Formia per eliminare le pedine di secondo piano dei bardelliani. Così Dario De Simone e altri partirono da Casale per uccidere Pasquale Piccolo e Raffaele Parente, marito di una cognata di Antonio Salzillo, il nipote del boss defunto. Morirà solo Piccolo. La sentenza ripercorre poi le fasi dell’affermazione del clan guidato da Iovine, Schiavone e De Falco con la strage di Casapesenna il 18 dicembre del 1988. Nella bisca clandestina venne ucciso Francesco Pardea, calabrese di Vibo Valentia alla corte dei Casalesi che somigliava a Sandokan. Nel conflitto vennero utilizzate 13 armi. L’episodio chiude il 1988, anno caratterizzato dagli ultimi spasmi della vecchia organizzazione. Il nuovo vertice - Schiavone, De Falco, Iovine - spara e colpisce i vecchi esponenti non solo perché indispettito dalla quantità di denaro accumulata dai Bardellino, che non dividono con il clan, ma anche per avere possibilità di entrare nei nuovi appalti, come quelli dei Regi Lagni. E ancora, la sentenza di Appello, ripercorre l’omicidio del marocchino Tone Hassen Ben Alì, colpevole di spacciare droga. Poi gli omicidi Pagano, Orsi, Mennillo, Gagliardi. L’uccisone dei Andrea D’Alessandro e il tentato omicidio di Paolo Di Grazia. La seconda guerra intestina si apre con l’omicidio di Vincenzo Del Falco. Poi, i tentati omicidi di Giuseppe De Falco e Dionigi Pacifico e l’uccisione di Liliano Diana. Infine l’assalto all’impianto di calcestruzzi Ba.schi con il tentato omicidio di Luigi Venosa e l’eliminazione di Angelo Riccardo. La sentenza si chiude con un caso di omicidio trattato in primo grado da una diversa sezione della Corte d’assise di Santa Maria, quello di Aldo Scalzone.

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