Le intercettazioni di uno degli indagati. «Mi hanno nominato grazie al mio partito»

4 giugno 2009 - Titti Bneduce
Fonte: Corriere del Mezzogiorno
Il 5 ottobre del 2005 Alfredo Nappo, collaudatore dell’impianto di Cai­vano, viene convocato negli uffici della Dia, in via Pontano, per essere interroga­to. All’uscita riceve la telefonata di un ami­co, tale Enzo. Ecco che cosa si dicono i due. 
Enzo: «Ma che stavi facendo?». Nap­po: «No, stavo alla Dia, mi hanno tornato a chiamare ». Enzo: «Non ti fare arrestare proprio m0». Nappo: «Niente, volevano sa­pere com’è che avevo avuto l’incarico. Ho detto: ma sentite, come ho avuto l’incari­co? Io faccio parte di un partito, e chiara­mente non faccio il nome del partito per­ché non è il caso... Io spesso dico vabbè, vediamo se è possibile riuscire a lavorare un poco e compagnia cantante. Questo in tempi non sospetti. Poi bello e buono mi è arrivata la possibilità di lavorare e se devo dire che è stato il partito mio o qualcun altro questo non lo so, anche perché il cur­riculum l’ho mandato a tutti gli assessora­ti ». Enzo: «Però ti voglio dire, scusami, se­condo me hai commesso un errore». Nap­po: «Che?». Enzo: «Il fatto di dire essendo iscritto a un partito eccetera. Tu avevi da di’: ho mandato un curriculum e m’è arri­vata questa...». Nappo: «No, ma io così ho detto. Dico: io chiaramente l’altra volta, quando mi chiesero, no, dice, ma... Dico no, evidentemente qualche amico mi ha garantito. Insomma, evidentemente per­ché sono incarichi fiduciari, però. E finì lì. Quindi evidentemente su questa cosa poi loro mi hanno richiamato. Per non poter dire guarda che un amico, ho detto per amico io intendo qualche amico di partito. Nell’ambito delle discussioni che si fanno, no, e finisce lì... E comunque non me ne fotte proprio. Io non gli ho detto nemme­no che partito è, non è il caso; quindi il problema non si pone proprio. Ma pure ammesso e non concesso: ma quelle, quel­le sono cose risapute...». Enzo: «Eh, ma quello a volte, sai, quando uno non se ne sa uscire da queste cose, anche se sono co­se risapute, girare il coltello dentro, po­trebbero approfittare». Nappo: « E quando buono buono, potrebbero dirmi ma chi è. E dico: ma io veramente non lo so. Cioè veramente non ho proprio idea. Cioè,, io ne parlai a lei poi con amici, ma amici che non ha niente a che vedere con chi conta, insomma, no? Ma del resto non me ne pas­sa nemmeno per la testa». Questa conver­sazione, per il gip, «disegna uno scenario sconcertante, notevolmente difforme dai presunti buoni propositi indicati nei prov­vedimenti di nomina». Quando gli era sta­to chiesto in base a quali criteri fossero sta­ti scelti i collaudatori, il subcommissario Raffaele Vanoli aveva risposto così: «Pro­posi all’allora commissario Andrea Losco di individuare personalità di alto livello sotto il profilo accademico e professiona­le... Vi era l’opportunità di di affidarsi a personalità credibili in ragione del fatto che gli impianti stessi trattavano rifiuti, con inevitabile ricaduta sotto il profilo am­bientale. Da qui la necessità di garantire un rigoroso controllo in sede di collaudo». Altra conversazione emblematica, per il giudice, è quella intercorsa il 23 settembre 2005 tra l’architetto Giuseppe Sica e il pro­fessor Oreste Greco. L’ex preside di Inge­gneria, a sua volta interrogato dalla polizia giudiziaria, è in difficoltà. Greco: «Ci dob­biamo stare attenti a quello che dobbiamo dire, perché quelli vogliono sapere... Dice: ma secondo lei quello è cdr? Dico: è cdr? È quello che era previsto nel progetto». Sica: «Certo!». Greco: «Dice: ma lo sa che i tecni­ci hanno detto che quello non è un cdr? Ma che ne so io? Io vedo se risponde a quello che sta nel progetto. Non so se mi sono spiegato?».
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