«Ecco chi ci informava delle indagini giudiziarie»

30 maggio 2009 - lor.ca.
Fonte: Il Mattino Caserta

Il clan si sarebbe assicurato nel corso degli anni anche l’appoggio di alcuni imprenditori-amici che sarebbero stati in grado di acquisire informazioni sulle attività di indagine svolte dagli organi inquirenti. A rivelarlo agli investigatori è il collaboratore di giustizia Michele Froncillo che, in recentissimi interrogatori resi alla Dda, ricostruisce anche i contatti «paralleli» fra il gruppo Belforte-Buttone e altre imprese, sempre operanti nel campo dei rifiuti, del Napoletano. Un accordo che avrebbe pure consentito alla cordata di Marcianise di entrare in alcuni appalti «fuori zona». Froncillo viene ascoltato dagli investigatori a giugno del 2008 e a febbraio del 2009. «Pino Buttone mi disse - riferisce il collaboratore - che c’era una compartecipazione societaria nella società Pellini da parte di esponenti delle forze dell’ordine. Si parlava di due carabinieri (...). Più volte i Pellini e Pino Buttone si sono vantati di avere un flusso di notizie concernenti indagini in corso sia in generale sull’attività del clan Belforte e sulle intercettazioni in corso sia in particolare sulle attività investigative sulla gestione dei rifiuti. Pino aveva apprestato finanche una stanza dove custodiva la documentazione da esibire nel caso avesse avuto notizia di perquisizioni a suo carico. Ovviamente fra quei documenti non c’era nulla che potesse far risalire agli smaltimenti illeciti (...). Pellini ha più volte ribadito che lui ”comandava” alla stazione dei carabinieri di Acerra, nel senso che aveva un completo controllo del flusso di notizie. Ricordo che i Pellini ”comandavano” anche in un’altra stazione dei carabinieri della provincia di Caserta anche se non ricordo di preciso quale. La presenza dei due carabinieri soci risale agli anni 2001-2002». Chi sono i Pellini? I fratelli Giovanni e Salvatore Pellini (quest’ultimo ex maresciallo dell’Arma in servizio a Roma), imprenditori attivi nel settore dei rifiuti, finiti in un’inchiesta e arrestati nel gennaio del 2006 nell’ambito di un’indagine condotta dalla Procura di Napoli che portò all’emissione di 14 provvedimenti restrittivi. Ma a gettare un fascio di luce inquietante sulla forza di intimidazione del clan sono anche le risultanze investigative relative alle estorsioni subite dalla Ecorec, dell’imprenditore Antonio Ricci e da Francesco Iavazzi, titolare della Impresud, in quest’ultimo caso con una tangente di 15 mila euro l’anno per tre volte: 5 mila euro a Pasqua, Natale e Ferragosto. Ma le richieste avvenivano anche per portare soldi «agli amici carcerati». A squarciare il velo una serie di intercettazioni ambientali realizzate all’interno degli uffici della Ecorec, a Mariglianella. Uno spaccato dal quale emerge anche la paura, per la loro incolumità, per la vita degli stessi familiari. E qui, dalle conversazioni torna a galla un episodio raccapricciante: gli imprenditori parlano dell’omicidio di un giovane, Vittorio Rega, che lavorava con Ricci. Un delitto inspiegabile, che poi si scopre dovuto a un possibile errore di persona. Il giovane fu ferito a colpi d’arma da fuoco in maniera non grave, ma morì dissanguato. A «condannarlo» fu l’auto su cui si trovava, una Honda Civic blu, la stessa su cui di solito viaggiava un uomo che il clan voleva eliminare, un «traditore».

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