«Così l’ente di bonifica affidava commesse alla cosca»

Nel mirino dei pm i permessi rilasciati da un funzionario
29 maggio 2009 - g.c.
Fonte: Il Mattino

L’accusa è pesante: concorso nel traffico illecito di rifiuti con l’aggravante della finalità di aver agito per agevolare un’organizzazione mafiosa. Il nome di un ex dirigente del settore tecnico della società «Recam spa» finisce nel registro degli indagati e compare nelle pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli, Alessandro Buccino Grimaldi (il cui Ufficio è diretto dal presidente Bruno D’Urso). Emerge infatti dalle indagini del Nucleo operativo ecologico dell’Arma dei carabinieri che anche una società collegata al clan - la «Sem» - avrebbe ottenuto commesse proprio dalla Recam, l’azienda incaricata di provvedere ad alcune bonifiche sul territorio della regione Campania. Il sospetto degli inquirenti è che il funzionario abbia favorito l’impresa in odore di camorra, omettendo tutta una serie di atti e di controlli previsti dalla legge. «La recam - scrive il gip - attraverso il suo funzionario oggi indagato inviava tali rifiuti alla Sem, quantomeno 6200 tonnellate che provenivano dalla bonifica degli alvei oggetto di bonifica ubicati nella zona nolana e gestiti dalla Recam, ai quali attribuivano il falso codice Cer 170904 (rifiuti provenienti da demolizione) al posto del prescritto codice Cer 200301 (rifiuti urbani indifferenziati)». Particolare di non poco conto: la società Sem - sostiene l’accusa - non era in possesso delle iscrizioni all’Albo nazionale dei gestori ambientali per la categoria delle attività concernenti le bonifiche. «Il dirigente della Recam - si legge ancora negli atti d’inchiesta - formava atti pubblici di contenuto falso, e precisamente i formulari di identificazione dei rifiuti». I riflettori della Procura di Napoli sulla Recam, dunque. E questa indagine non sarebbe l’unica che riguarda l’azienda che si occupa di recupero ambientale. Ma ci sono almeno altri due particolari inquietanti che emergono dalle carte dell’indagine «Giudizio finale». Il primo è che il clan dei «Mazzacane» aveva messo gli occhi anche su alcuni siti del basso Lazio. A Castrocielo, in particolare, nel Frusinate. Il secondo riguarda il trucco escogitato dagli indagati, i quali - dopo aver trattato il materiale di compostaggio - lo tritovagliavano unendolo poi a sabbia per ottenerne materiale da destinare poi al mercato edile. Particolare a dir poco inquietante, anche perchè non è dato sapere, al momento, da chi sia stato utilizzato e per costruire che cosa. Ultimo aspetto - ma non certo per importanza - quello patrimoniale, che ha messo in luce come la camorra abbia utilizzato anche personaggi nullatenenti per evitare che l’attenzione degli investigatori si soffermasse su una serie di notevoli investimenti economici fatti dal clan belforte. Così i proventi di altre attività illecite venivano riciclati con investimenti di appartamenti, terreni e conti correnti intestati a uomini di paglia. tra loro anche un cittadino lettone ed un’ucraina. giu.cri.

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