«Ecoballe nel cemento? Una barzelletta»
Sei milioni di ecoballe sterilizzate in gigantesche camicie di cemento. «Mai sentita una sciocchezza del genere: potrebbe essere una barzelletta, se non si trattasse di una tragedia come quella dei rifiuti in Campania», taglia corto il professore Franco Ortolani, ordinario di Geologia e direttore del dipartimento Pianificazione e Scienze del territorio alla Federico II. «Ignoranza, incapacità, improvvisazione: ecco perché l’emergenza ambientale nella regione continua a precipitare, da un provvedimento urgente all'altro, senza un piano serio, di lungo respiro».
L'idea delle gabbie di cemento... «Un’idiozia, ripeto. A parte le difficoltà pratiche di realizzare un’operazione tanto complessa, bisognerebbe sapere che il cemento, attaccato dall'anidride carbonica dopo un certo numero di anni, comincerebbe a disgregarsi, provocando infiltrazioni e inquinamenti di crescente portata. Il danno, nella sua gravità, sarebbe soltanto rinviato». Si pensa anche di concentrare i rifiuti nelle vecchie cave dismesse della regione. «Peggio ancora. Le nostre sono cave di tufo e di calcare, quasi sempre. Dunque, di roccia estremamente friabile, perciò maggiormente soggetta a processi di infiltrazione inesorabili. Lasciare disperdere nel terreno i veleni delle ecoballe degradate, mi sembra una follia. Le conseguenze del disastro ambientale sarebbero irreparabili». I commissari straordinari, secondo lei, continuano a sbagliare? «Forse sono condizionati, forse non ce la fanno. Dico soltanto che continuano a muoversi sulla base di scelte occasionali, emotive, piuttosto che operare applicando le esigenze della scienza e della tecnica». Cosa bisognerebbe fare, allora? «Intanto sarebbe l'ora di affidare la responsabilità delle decisioni a esperti di provata capacità, persone competenti, piuttosto che vagare da una scelta politica improvvisata da un giorno all’altro, soltanto per placare gli umori di una piazza e assecondare le esigenze elettorali di un sindaco o di un parlamentare locale. Una volta ristabilita la dignità della scienza e della tecnica, si potrebbe mettere insieme un piano almeno quinquennale, ma serio e motivato». Può scendere nel dettaglio? «Semplicissimo: non potendo trasferire le ecoballe nel deserto libico, l’unico posto dove non piove, dovremmo concentrare i rifiuti al riparo in giganteschi capannoni coperti e protetti dall’assalto degli animali. Tutto ciò per almeno cinque anni, in attesa di poter finalmente contare sull’impiego di impianti moderni di smaltimento, dei quali oggi non disponiamo». E il termovalorizzatore di Acerra? «Lo definirei vecchio, obsoleto, inutile già tre anni prima della sua apertura. Ammesso che nel 2.010, come oggi si dice, possa essere finalmente inaugurato».