Impianto biomasse, il pressing dei casertani
Inchiesta tematica e non «territoriale», quella per il cui il gip Paola Cervo ieri ha spedito in carcere o ai domiciliari 23 persone, ma non è un caso che quasi la metà degli indagati per il goloso business delle energie rinnovabili sia casertana: tutta colpa della localizzione del megaimpianto a biomasse che la Biopower di Bracciali e Tombolillo voleva a Pignataro, nel bel mezzo di un pregiato territorio ricco di colture e allevamenti. Così l’ordinanza apre un repertorio in cui sfilano politici locali e provinciali, faccendieri e tecnici, imprenditori e funzionari. Tutti coinvolti, più che in una lobby modello anglosassone, in un pressing strapaesano sulle istituzioni, che usa mezzi leciti e (più spesso) illeciti per non farsi sfuggire la vacca grassa dei finanziamenti dedicati. I Verrazzo, ad esempio, capuani, padre (Tommaso, ai domiciliari) e figlio (Giovanni, vicepresidente della Juvecaserta, in carcere) sono noti nel capoluogo perché titolari dell’azienda che sta rifacendo il look di corso Trieste. Pm e gip li accusano di esser stati gli intermediari della Biopower per contattare le persone giuste sia nell’ambiente dell’amministrazione di Pignataro che in quello del Genio Civile: «sì da indurli a ricevere, quale prezzo della loro corruzione per il compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio, somme di denaro». In più: Verrazzo junior quale amministratore di Area Sviluppo srl ha firmato l’atto di cessione dei terreni su cui doveva sorgere l’impianto dimenticando - questa è la tesi del gip - d’essere anche amministatore delegato della Biopower, tanto è vero che ha attestato, con Bracciale e Tombolillo, di non avere «cointeressenze né reciproche partecipazioni societarie» ai fini dell’erogazione dei finanziamenti Por (in gioco c’erano quasi sette milioni di euro). Anche Margherita Di Vincenzo, di Capodrise, ora ai domiciliari, si sarebbe data da fare per avvicinare funzionari pubblici «utili alle strategie imprenditoriali» di Tombolillo «al fine di persuaderli ad atti amministrativi favorevoli al gruppo». Più gravi appaiono le posizioni di Michele Testa e Mario Paquariello, rispettivamente dirigente e funzionario del Genio Civile. Secondo gli inquirenti avrebbero fatto carte false usando pure il bianchetto per attestare la regolarità del progetto, inducendo in errore colui che aveva la responsabilità dei depositi. In cambio avrebbero avuto al promessa di 100 mila euro, di fatto poi non intascati. Nella vicenda sarebbe coinvolto anche l’ingegnere casertano Italo Verzillo, a cui si contesta di aver certificato la conformità alle norme antisismiche del decreto del 2008 mentre l’allineamento era sulle meno restrittive regole del 2005. Tra i politici coinvolti anzitutto Giuseppe Esposito, assessore ai lavori pubblici e all’urbanistica di Santa Maria Capua Vetere, in qualità di direttore dei lavori. In quota IdV (ma ieri i dipietristi hanno smentito l’appartenenza con un comunicato), è stato subito privato delle deleghe dal sindaco Giudicianni. Poi c’è Eugenio Di Santo, cugino e omonimo del sindaco di Sant’Arpino, della segreteria particolare dell’assessore Cozzolino: viene accusato di aver interpretato in maniera disinvolta il suo ruolo per favorire l’impresa, ricavandone - sostengono i giudici - non meno di 60 mila euro. Agli atti anche una sfuriata dall’assessore che lo caccia dalla stanza e intercettazioni che sminuiscono il suo potere di condizionamento. A Pignataro nel ciclone è finito Francesco D’Alonzo, consigliere comunale del centrodestra: avrebbe votato per l’impianto in cambio di sponsorizzazioni per la squadra di calcio di cui è legale rappresentante. La prova: due assegni. Infine l’ex assessore provinciale del Pd Franco Capobianco: ha fatto pressioni, dicono gli inquirenti, sui consiglieri di Pignataro del suo partito, contrari all’impianto, per far loro cambiare posizione. In cambio un contratto a progetto per una persona vicina a lui.