L’Us Navy: falde inquinate, via 17 famiglie
«Unacceptable risks», ovvero «rischi non accettabili» per i militari americani e le loro famiglie. Dietro questa classificazione ci sono le conclusioni delle analisi effettuate (uno studio di ben 3mila pagine) da medici e biologi del Centro di salute della Us Navy che hanno valutato la potabilità dell’acqua e la contaminazione dei suoli delle case prese in fitto dai militari e nei diversi siti operativi ubicati tra Napoli e Caserta. Un allarme già fatto scattare in autunno dal comando che aveva chiesto ai proprietari di case italiani di fornire acqua minerale di scorta ai militari-inquilini. Ora, invece, la conferma dalle analisi scientifiche elaborate dai tecnici fatti arrivare appositamente da oltreocenano. «Potenziali rischi per la salute umana», hanno certificato dopo aver messo a confronto i parametri di tolleranza previsti dalla protezione ambientale americana e la permanenza media dei militari nelle basi italiane: dai tre ai sei anni, al massimo. «Acqua pericolosa, in alcuni casi, anche per uso non umano» scrivono i responsabili medici americani allertati dal comando di stanza in Campania che, negli ultimi mesi, hanno portato avanti uno screening su acqua, aria e suolo per valutare i rischi sanitari. E ve ne sono se, ancor prima di rendere pubblici i risultati delle analisi, si è deciso di trasferire d’urgenza 17 famiglie («Impossibile - scrivono sempre i responsabili dello studio - mitigare i rischi ricorrendo all’uso di acqua in bottiglia, o alla pulizia e disinfezione del sistema di approvvigionamento idrico dell’abitazione») alloggiate in altrettante abitazioni ubicate tra Casal di Principe e San Cipriano, nel Casertano. Ma percentuali d’inquinamento preoccupanti sulla potabilità sono state riscontrate anche in abitazioni di Pozzuoli, Casoria, nell’area compresa tra Calvizzano e Mugnano e Caserta. Le analisi, a campione, sono state effettuate in 130 abitazioni e 10 siti operativi. E «pericolosità incrementale» è stata verificata su poco meno della metà delle abitazioni private (48, per la precisione) che presentavano «rischi» sia per il consumo umano che, addirittura, per l’igiene personale (41 su 48): «Presenza oltre la norma di tetracloroetilene, coliformi fecali, coliformi totali (inclusi coliformi fecali ed escherichia coli) e nitrati». Si tratta, nella maggior parte dei casi, di residenze servite da acqua proveniente da pozzi o, peggio, da fonti sconosciute e allacciamenti abusivi alla rete pubblica su cui non esistono controlli. Ma la macro area (divisa in nove zone) presa in esame è molto più vasta è comprende un triangolo compreso tra Castelvolturno, Caserta e Napoli. E anche nel capoluogo partenopeo sono state ravvisate una serie di criticità. A cominciare dalla base di Capodichino e dal consolato Usa sul Lungomare dove sono state riscontrate «percentuali di contaminazione dei suoli oltre i limiti di norma». Anche se, viene puntualizzato, saranno necessari ulteriori test sui «gas interstiziali» per chiarire meglio il grado di pericolosità. Sulla qualità dell’aria, invece, bisognerà attendere la fine dell’anno per valutare i campionamenti effettuati in ognuna delle nove aree prese in esame. Tutti questi dati, ha deciso il comando, saranno comunicati al personale dagli stessi esperti affinché possano rassicurare gli stessi militari durante una due giorni già prevista per il 6 e 7 maggio. Per la gestione del rischio, invece, oltre a sospendere i contratti di locazione nelle zone ad alto rischio, di prevedere nuove clausole nei contratti di fitto. E da oggi in poi, quindi, i proprietari delle abitazioni, oltre a distribuire periodicamente gli inquilini con acqua minerale in bottiglia, dovranno fornire prove documentali dell’allaccio all’acquedotto pubblico e garantire la disinfezione semestrale dei serbatoi idrici. Inoltre è partita dalla Campania la richiesta al Dipartimento della difesa Usa affinché vari una direttiva per valutare l’esposizione ai rischi sanitari legati alle condizioni ammbietali, «tali come si presentano a Napoli».
L’allarme scatta poco dopo l’estate. E a settembre la Marina Usa stanzia ben 144mila dollari affinché le famiglie dei militari, che vivono fuori la base di Gricigliano, possano approvvigionarsi d’acqua minerale. Perché l’acqua non viene considerata sicura. Il caso, però, diventa pubblico quasi due mesi dopo: quando il comandante Jeff McAtee, il portavoce del «Naples public health evaluation», il reparto della Navy che si occupa della salute dai militari, con una mail, invita i marinai a chiedere ai rispettivi proprietari di case di accollarsi l’onere di acquistare l’acqua. E viene chiesto al servizio interno che si occupa di stipulare i contratti di prevedere da quel momento questo tipo di clausola. Poi estesa anche ai comuni del Napoletano. Accordi di nuovo conio di cui ne dà notizia il Mattino e che scatenano una vivace polemica perché, è chiaro, gli italiani che vivono in abitazioni limitrofe a quelle occupate dagli americani iniziano a preoccuparsi per la loro salute. «Se è inquinata la loro acqua - è il ragionamento - lo è anche la nostra». E scatta la reazione. L’allarme Usa sulla potabilità dell’acqua a Napoli e in Campania è «pericoloso e ingiustificato», ribatte l’Asl Napoli 1 attraverso il capo dipartimento prevenzione, Giuseppina Amispergh, che è anche referente del sindaco Iervolino in materia di igiene e sanità. Da palazzo San Giacomo viene diramato, quindi, un comunicato il 25 novembre: «Si conferma l’assoluta idoneità dell’acqua della nostra città al consumo umano. La precisazione è determinata al fine di scongiurare pericolosi e ingiustificati allarmismi nella popolazione, derivanti dalla scelta del comando Usa di obbligare i cittadini americani a utilizzare acqua minerale». Ma ora le analisi effettuate dagli esperti del Centro di salute pubblica della Us Navy certiificano come l’acqua dei rubinetti presentino «rischi non accettabili».