«Casalesi pronti a gravi attentati, nel mirino uomini delle istituzioni»

28 febbraio 2008 - Gianluca Abate
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

C'è la camorra che «ha instaurato rapporti privilegiati con vari livelli dell'apparato amministrativo». C'è quella che «ha incrementato il proprio livello di reddito grazie all'emergenza rifiuti». C'è, ancora, quella che va a braccetto «con imprenditori e politici». E c'è, soprattutto, la camorra dei Casalesi. Il gruppo «che resta in assoluto il più forte della Campania», la cosca «in cui si sta facendo strada un ragazzo, Nicola Schiavone, figlio del boss Francesco», l'organizzazione «in evoluzione» che per fare affari ha scelto «un livello bassissimo di violenza». Ma che, proprio in questo quadro di «evoluzione», potrebbe mettere in atto «gravi fatti di sangue contro esponenti delle istituzioni per la necessità dei nuovi vertici del gruppo di dimostrare la capacità di imporsi sul territorio, per dare soddisfazione ai numerosi detenuti condannati e per impedire nuove scelte collaborative».
L'annotazione occupa solo sette righe delle 95 pagine della relazione conclusiva dell'Antimafia. Quanto basta, però, a lanciare un allarme che piomba nel bel mezzo della campagna elettorale e di un «contesto locale » che ricorda pericolosamente da vicino quello delle stragi di mafia del 1993: la delegittimazione della politica, le inchieste della «nuova Tangentopoli», le «rivolte» popolari. Quali siano i piani del più potente clan della Campania è cosa ovviamente ignota. Quel che è noto, scrive però il presidente della Commissione Francesco Forgione, è che già da tempo ci sono «pm della Procura di Napoli dalla cui audizione è emerso il rischio che questi gravi fatti di sangue si verifichino ». Non è un caso se uno di quei pm è Raffaele Cantone, ex pm antimafia che vive ancora oggi «blindato» proprio per i piani dei Casalesi finalizzati alla sua uccisione. E non è un caso neppure che l'unico rimedio per fermare i folli progetti di camorra passi per «l'impegno volto alla cattura di Michele Zagaria e Antonio Iovine, oggi veri capi del clan». E, almeno in parte, i teorici della «svolta stragista» .
Non ci sono però solo ipotesi, nella relazione dell'Antimafia. Che, accanto ai rischi di futuri attentati, disegna un quadro impressionante di situazioni reali, concrete, già realizzate. Parla, ad esempio, degli «esiziali intrecci tra camorra, affari e politica» e del «pesante condizionamento che la criminalità svolge sullo sviluppo economico» della Campania: «Le indagini giudiziarie hanno dimostrato che le imprese appaltatrici di lavori pubblici, in molti casi, hanno richiesto ai gruppi mafiosi i capitali per finanziare i propri affari (...). Questo legame trova la sua possibilità di determinarsi e produrre risultati grazie all'arrendevolezza e alla permeabilità delle istituzioni locali. Si determina così un circolo vizioso, in cui la politica si presta a fare la sua parte nella gestione degli scambi e dei favori reciproci ». Commistioni che — se «nelle aree direttamente collegate al territorio del capoluogo fanno registrare comunque allarmanti fenomeni di inquinamento degli enti locali» — raggiungono il loro apice «nelle aree dei Comuni più importanti che sono collocati a una certa distanza da Napoli». Lì le «frequentazioni » tra esponenti dei clan e amministratori («assessori, consiglieri e talvolta sindaci») sono «sistematiche», come sistematico è «l'affidamento degli appalti in violazione della normativa antimafia, il rilascio di autorizzazioni edilizie irregolari, il supporto della criminalità organizzata a candidati». Il problema, scrivono i parlamentari, è che ormai neppure più lo scioglimento dei consigli comunali serve a molto, se è vero che «la Campania conta il maggior numero di amministratori rieletti nei comuni sciolti per le infiltrazioni mafiose». È accaduto in 59 casi, su un totale di 130 in Italia: 32 a Napoli, 18 a Caserta, 5 a Salerno, 3 ad Avellino e 1 a Benevento.
Discorso a parte per «le infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti ». Un discorso che — fa rilevare la relazione — «non può prescindere dalla considerazione degli effetti prodotti dall'abnorme perdurare del regime commissariale. L'emergenza rifiuti che affligge la Campania da 14 anni ha infatti rappresentato per molti clan la strada attraverso cui incrementare stabilmente le proprie fonti di reddito ed accrescere il controllo sul territorio e gli enti locali». Accade così che «la domanda sempre crescente di erogazione di denaro pubblico (spesso destinato al mero mantenimento delle strutture burocratiche di governo dell'emergenza), la creazione di enti di intermediazioni (in primis i consorzi) e la possibilità di derogare alle regole nell'assegnazione di appalti e contratti» finiscano con il determinare le condizioni perché la camorra possa penetrare in tutti gli snodi decisionali». Una situazione all'apparenza oggettiva. Ma «non solo», scrive l'Antimafia. Che attacca: «È accaduto che porzioni apicali della pubblica amministrazione e della stessa struttura commissariale, in questa condizione di opacità istituzionale e politica, abbiano realizzato con imprese collegate alla camorra campana vere e proprie
joint ventures, consentendo a queste ultime di sfruttare i canali per l'emergenza anche per i traffici illeciti di rifiuti speciali». Insomma, la camorra «ha affittato al Commissariato terreni per il ricovero di ecoballe ». E, sempre all'interno del Commissariato, ha piazzato i suoi uomini. «È emblematica l'indagine sul consorzio Ce4, operante nei comuni di Mondragone e in altri del litorale domizio». Un'investigazione che «ha sfiorato anche il Commissariato per l'emergenza rifiuti». Lì, scrive l'Antimafia, «è stato assunto un tecnico sponsorizzato dalla società mista». È sempre quella sospettata di «collusioni con i clan».

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