La ditta appaltatrice fu travolta da un’inchiesta giudiziaria Con il Cip6 il via libera all’opera

Dalle molotov allo sprint finale un’odissea lunga cinque anni

Agosto 2004: scontri e tafferugli. Nove mesi fa la svolta
25 marzo 2009 - Francesco Vastarella
Fonte: Il Mattino

Prima ancora che si mettesse mano al progetto, c’era chi lo considerava il principio e la fine di tutti i mali. Nello stesso tempo c’era chi lo considerava la svolta nella ventennale emergenza rifiuti. Intorno al termovalorizzatore di Acerra sempre un fuoco di polemiche: la brutta copia di Brescia, un imbroglio alla napoletana. Per altri avanguardia tecnologica al servizio dei rifiuti. Da realizzare per gli uni, da bloccare a ogni costo per gli altri. Perché? Perché al progetto viene attribuito un peccato originale, la localizzazione non concordata, scelta dall’appaltatore e dal commissario di governo pur di avviare i lavori, senza confronti. Da qui il boicottaggio e la lotta, come quella domenica 29 agosto del 2004, quando volarono manganelli e molotov portando all’attenzione nazionale quest’angolo di campagna acerrana da molto tempo ammalata e devastata dai veleni, con le pecore seviziate dagli effetti della diossina accumulata sull’erba. Dovettero lavorare parecchio i 1.200 poliziotti, carabinieri e finanzieri inviati nella trincea del cantiere attaccato da manifestanti che si sentivano benedetti da vescovi arrabbiati e appoggiati da ambientalisti di lotta e di governo. E furono cariche, botte, paura, feriti e sangue nella battaglia del Pantano di Acerra. Quella domenica segnò lo spartiacque, l’avvio dei lavori dopo cinque anni di diatribe, cavilli, accuse degli ecologisti e imbarazzi delle maggioranze e delle minoranze, la linea dura della Regione e del commissariato di governo che un punto fermo nel processo per uscire dalla crisi dovevano pur metterlo. Sullo sfondo le valutazioni di impatto ambientale, le prescrizioni da rispettare per abbassare le emissioni di polveri sottili e nocive e per aumentare il potere di filtraggio, sopralluoghi, commissioni, le interminabili trattative al ministero dell’Ambiente e poi al ministero dell’Interno, visto che la questione era diventata, nel frattempo, di ordine pubblico più che di ingegneria e salute. Quel 29 agosto, quando il cantiere doveva solo essere avviato per dare forma al contenitore, erano già tutte pronte le strutture tecnologiche. Turbine, torri di raffreddamento, griglia, caldaie erano in custodia in altri paesi o semplicemente nelle vicinanze in luoghi segreti e supersorvegliati, con ingenti costi di mantenimento, naturalmente a ricasco sulle società appaltatrici Fibe e Fisia, curatrice quest’ultima della parte tecnologica, e del commissariato. Pronti i pezzi per Acerra, pronti addirittura quelli per Santa Maria la Fossa, allora impianto considerato gemello prima dei cambi di prospettiva. Seguirono per Acerra la paralisi dei lavori e addirittura il sequestro di decine di milioni sul conto della società appaltatrice, travolta dall’inchiesta con la conseguente rescissione del contratto ma con l’obbligo di realizzare il progetto in attesa della scelta del futuro gestore. Nel bel mezzo passarono il governo Berlusconi e quello Prodi con le frange ambientaliste ancor più agguerrite. Dopo ancora le elezioni e di nuovo Berlusconi alle prese con la catastrofica emergenza ambientale, peggiore di quanto si potesse immaginare con la vergogna davanti agli occhi del mondo. E il centrosinistra campano uscito a pezzi dalle urne e additato come responsabile della sconfitta nazionale. Duemila tonnellate al giorno da bruciare, anzi, da termovalorizzare, per 750mila tonnellate l’anno, una buona quota delle 7.500 tonnellate giornaliere prodotte nella regione. Un colosso, secondo i detrattori, inutile rispetto alla prospettiva del potenziamento della raccolta differenziata e rispetto alla media europea per questo genere di strutture: 200-250mila tonnelate annue trattate nelle capitali europee che hanno scelto di tenere gli impianti a due passi dal centro. Che significa: trasformare in energia elettrica l’immondizia. L’oro dalla monnezza, dicono i critici. O meglio, il cuore del business che aveva attirato le società nella partita dei rifiuti campani. La parola è Cip6, un beneficio che consente a chi ricava energia elettrica da fonti rinnovabili di ottenere un sovrapprezzo sulla vendita, una premialità. In Parlamento, premier Prodi, gli ambientalisti andarono giù duro: un regalo ai petrolieri, accusavano. Anche i rifiuti assimilabili alle fonti rinnovabili, rispondeva la parte avversa. Fino a quando Prodi e i ministri più fedeli non misero un punto fermo concedendo il Cip6 per Acerra, giusto per renderlo appetibile a chi avrebbe dovuto gestire il termovalorizzatore. Proprio nello stesso momento in cui al Nord impianti come quello di Brescia cessavano di beneficiare del Cip6 dopo decenni in cui avevano grazie a questo ammortizzato tutti i costi. Se non ci fosse stato il Cip6 sarebbe stata una beffa per Acerra, ma anche per tutto il Sud e per il suo primo inceneritore. Due anni di ritardo rispetto alle previsioni, autunno 2007 si disse all’indomani dell’adeguamento dei progetti strutturali e tecnologici per Acerra. Siamo arrivati invece alla primavera 2009. A gennaio di un anno fa era pronto il 90 per cento, ma l’ultimo paradosso era che l’ultimo 10 non si poteva fare senza le indicazioni del futuro gestore. Così è passato un anno e due mesi tra rivolte e disperata ricerca di discariche. E domani è un altro giorno nella piana dei veleni dominata ora dalla ciminiera alta 110 metri.

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