Ciclo dei Rifiuti

Il Rapporto Ecomafia 2003 di Legambiente

Legalità in discarica
10 aprile 2003
Fonte: lanuovaecologia.it

Stabilimento Enichem49 persone arrestate tra il 2002 e il gennaio del 2003, 177 le persone denunciate, 36 le società coinvolte, 12 le regioni interessate dai traffici illegali. In carcere dirigenti e dipendenti dello stabilimento Enichem di Priolo

C'è ancora molto da fare, ma le forze dell'ordine e l'autorità giudiziaria stanno ottenendo importanti risultati contro le organizzazioni criminali attive nella gestione del ciclo illegale dei rifiuti. Sono 49 le persone arrestate tra il 2002 e il gennaio del 2003, 177 le persone denunciate, 36 le società coinvolte, 12 le regioni interessate dai traffici illegali. Le indagini sono state svolte, in maniera particolare, dal Comando tutela ambiente dell'Arma dei carabinieri (30 le ordinanze di custodia emesse da diverse Procure italiane), ma non è mancato il contributo dei Nuclei investigativi del Corpo forestale dello Stato, in particolare quello di Brescia, e della Guardia di finanza, che ha condotto una delle inchieste più clamorose: quell'operazione "Mar Rosso" che ha portato in carcere dirigenti e dipendenti dello stabilimento Enichem di Priolo, accusati di aver sversato in mare rifiuti contenenti mercurio (fino a 20.000 volte oltre i limiti di legge) e di aver "spedito" illecitamente in giro per l'Italia ingenti quantitativi di veleni.

Le terre della diossina
Alle organizzazioni criminali viene affidata, anche da imprenditori conniventi, un'ampia gamma di rifiuti: scorie di metallurgia, fanghi conciari, polveri di abbattimento fumi, terre provenienti da attività di bonifica, trasformatori con oli contaminati da Pcb, i famigerati policlorobifenili. Le conseguenze di questi smaltimenti sono gravissime e si manifestano nel tempo, come dimostra l'allarme diossina scattato tra le province di Caserta e Napoli. Qui per anni, come ha più volte denunciato Legambiente, i clan della camorra, a cominciare dal sodalizio più pericoloso, quello dei Casalesi, hanno gestito la fase terminale di imponenti traffici illegali di rifiuti. Le "terre dell'ecomafia" - così vennero ribattezzate dalla prima Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti - sono diventate oggi le "terre della diossina", riscontrata nel latte vaccino, sui terreni, nel foraggio. Sull'origine di questa contaminazione non sembrano esserci dubbi: «Le risultanze investigative - si legge in un comunicato della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, che coordina le indagini - hanno consentito di ipotizzare le cause dell'evento, consistenti nelle reiterate attività abusive di discarica e abbandoni dei rifiuti e dall'incenerimento degli stessi». Attività che proseguono ancora oggi, non solo in provincia di Caserta. Tra Qualiano, Giuliano e Villaricca, in provincia di Napoli, si consumano quasi ogni giorno abbandoni e incendi di rifiuti, come ha evidenziato, anche in questo caso dopo le continue denunce di Legambiente, una recentissima indagine della Procura della Repubblica di Napoli. Va sottolineato, infine, quanto emerso in Calabria durante una recente missione della Commissione parlamentare d'inchiesta: la procura di Reggio Calabria avrebbe in corso un'indagine relativa a un vasto traffico di rifiuti speciali, anche di origine ospedaliera, diretti da Nord verso Sud, che sarebbe gestito da due famiglie della 'ndrangheta reggina.

Un po' di numeri
La quantità di rifiuti che continua a sparire dalla sempre difficoltosa contabilità del settore è davvero impressionante: una nuova montagna - alta 1.120 metri per 3 ettari di base, pari a 11,2 milioni di tonnellate di rifiuti - si è andata ad aggiungere a quella "spuntata" nel precedente Rapporto Ecomafia, appena 30 metri più bassa, se può consolare, di quella emersa lo scorso anno. Ma altri numeri confermano la gravità della situazione: sono 4.866 le discariche abusive censite dal Corpo forestale, per una superficie di ben 19 milioni di metri quadrati, 4 milioni in più rispetto al dato del primo censimento, realizzato nel 1986. Diminuisce invece il numero dei siti illegali (erano 5.978 sempre nel 1986): «Non siamo più in presenza di comportamenti errati occasionali da parte di singoli cittadini - si legge nel rapporto del Cfs - ma ci troviamo di fronte a fenomeni, come dimostrato anche da indagini e operazioni di polizia giudiziaria portate a termine, riconducibili a organizzazioni illecite che controllano l'utilizzo delle discariche abusive».
I risultati delle operazioni svolte dal Comando tutela ambiente dei Carabinieri in questo settore segnalano un'incidenza dell'illegalità nella gestione complessiva dei rifiuti pari al 42,5% dei controlli effettuati. La Sicilia resta, nel 2002, la prima regione in Italia per quanto riguarda gli illeciti riscontrati nel ciclo dei rifiuti, seguita dalla Campania e dal Veneto, un dato quest'ultimo che rappresenta la spia di una situazione davvero difficile in questa regione. Il 38,6% degli illeciti accertati, infine, si concentra nelle 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa.

I conti non tornano
Per quanto riguarda la gestione formalmente legale, i numeri presentati da Fise-Assoambiente, suscitano ulteriori interrogativi: l'Italia sembra essere un paese virtuosissimo, con il 45,5% dei rifiuti speciali prodotti, esclusi gli inerti, avviati a recupero. Il 53% di questi rifiuti passa, però, attraverso centri di stoccaggio e di pre-trattamento e addirittura l'87% di quelli stoccati e "pre-trattati" finisce in discarica. Non bisogna essere degli esperti del settore per intuire che qualcosa non torna, soprattutto alla luce di due considerazioni e due dati di fatto: i prezzi praticati in questi centri sono molto inferiori, per la stessa tipologia di rifiuti, a quelli degli impianti di smaltimento. Affidando i propri rifiuti a una di queste strutture, il produttore si vede sollevato da qualsiasi responsabilità circa l'effettiva destinazione dei rifiuti stessi.
Sostanzialmente tutte le indagini avviate finora sulla base dell'articolo 53 bis sono caratterizzate da una serie di "trattamenti" e "riutilizzi" mai effettuati e di miscelazioni illecite. E ancora, sono innumerevoli i casi di capannoni riempiti da rifiuti da "recuperare" o "riutilizzare", lasciati in "omaggio" alla collettività da società nel frattempo fallite.

Strada spianata per gli ecofurbi
È facile immaginare quale effetto possa avere avuto, in questa situazione, la nuova interpretazione della definizione di rifiuto prevista nell'articolo 14 del decreto legge 138 del 2002, che spiana la strada a ecofurbi e trafficanti senza scrupoli, specializzati in false attività di recupero. Presunte attività di riciclaggio, come già segnalato da Legambiente, fanno da sfondo anche ad alcune indagini condotte nel nostro paese per quanto riguarda i traffici internazionali di rifiuti, con la Cina tra le mete preferite. Anche in questo caso, le attività illecite sono mosse da ragioni sostanzialmente economiche. In un incontro internazionale promosso dal Riia (Royal institute of international affairs), un prestigioso istituto di ricerca londinese, sono stati forniti i prezzi relativi allo smaltimento di una tonnellata di rifiuti pericolosi: si va tra i 100 e i 2.000 dollari di un paese industrializzato, a seconda della tipologia di rifiuto, ai 2,5 massimo 50 dollari richiesti in un paese in via di sviluppo.

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