Fase due: parte la semina dell’erba nei solchi lasciati dall’amianto
A sessanta metri di altezza i rocciatori trentini stendono un’enorme rete nera sulla frana della discordia. Sotto di loro una montagna di terreno accumulato proprio all’incavo della parete. «Quando dopo giorni e giorni di pioggia incessante abbiamo notato un rigonfiamento delle reti, il 15 gennaio abbiamo deciso di provocare uno smottamento controllato», dice il capo missione della struttura di Bertolaso, Nicola Dell’Acqua. Ora i rocciatori sono al lavoro per risistemare le reti. Da giorni i comitati sostengono che la frana è la prova dell’inadeguatezza del sito scelto dal governo per realizzare la discarica. Ma Dell’Acqua ribadisce: «È tutto a posto, nei prossimi giorni procederemo all’idrosemina». Cioè a un processo di stabilizzazione con l’utilizzo di miscugli di semi, essenza erbacee, fibra di legno e collante che dovrebbe impedire ulteriori smottamenti. Nella cava c’è ancora un’enorme pozzanghera: a lavori terminati, assicurano i tecnici, le acque saranno convogliare insieme al percolato nelle apposite cisterne. E intanto si lavora anche alla sistemazione idrogeologica dell’intera area. Ma non sono finite le pene per Bertolaso e per i suoi: sull’altro costone, proprio accanto alla strada che dovrebbe essere aperta per permettere l’accesso ai camion, si vedono detriti di ogni genere, sacchetti sventrati, resti di lavorazione edile, e anche qualche copertone. L’amianto no. Quello è stato chiuso in grandi sacchi bianchi dalla ditta che ha vinto l’appalto per la bonifica, la Uno M, e trasportato in una zona transennata poco più avanti in attesa di essere portata nei siti autorizzati allo smaltimento. Un’operazione che costerà più di 800 mila euro. «Abbiamo trovato seicento metri cubi di materiale di risulta della lavorazione edile nel quale sono stati individuati residui di amianto a matrice compatta - spiega Dell’Acqua - quindi non ci sono fibre libere che sono le più pericolose». I camion che porteranno via i rifiuti pericolosi saranno scortati dall’esercito e dotati di sistema gpl per garantire che effettivamente arrivino alla meta designata. Una meta che certamente sarà fuori Campania visto che in regione (come in molte altre regioni italiane) non esistono imprese in grado di smaltire legalmente questo tipo di materiali. Toccherà poi alla magistratura individuare chi e quando ha sversato nella cava. Se le indagini permetteranno di mettere le mani sui colpevoli questi dovranno anche risarcire lo Stato delle spese che sta sostenendo per la bonifica. Intanto sarà l’ex questore di Napoli, il prefetto Franco Malvano, distaccato dalla presidenza del Consiglio al sottosegretariato all'emergenza rifiuti, a coordinare i piani di sicurezza all'esterno della discarica. Nelle prossime settimane le verifiche per accertare l’eventuale presenza di rifiuti speciali saranno estese anche alle altre tre cave attigue a quella del poligono che sono state requisite alla Fibe. Prima di consegnarle agli enti locali che dovranno trasformarle in aree verdi, la protezione civile si assicurerà che non contengano materiali ad alto rischio. Ipotesi da non scartare: i pentiti della camorra hanno raccontato negli scorsi mesi di lunghe code di camion che portavano rifiuti di tutti i tipi nell’area nord.