Bloccato il traffico di indumenti delle raccolte caritatevoli Le balle finivano nelle campagne invece che al macero

Roghi al veleno, in cella la gang dei fuochi

Ad Afragola, Caivano, Casoria e Marigliano il business dello smaltimento illegale: diciassette arresti
20 dicembre 2008 - MAURIZIO CERINO
Fonte: Il Mattino

La «Terra del fuoco» è quella fetta di provincia napoletana compresa tra Afragola, Caivano, Casoria, fino a Marigliano dove, ogni notte vengono accesi enormi falò. Anche durante l’emergenza rifiuti. Spazzatura, si pensava, rifiuti urbani non rimossi, incendiati da cittadini esasperati. Qualcosa del genere c’era, ma la verità salta fuori con un’operazione dei carabinieri del Noe, nucleo operativo ecologico per la tutela dell’ambiente, soprannominata appunto «Terra dei fuochi». Non rifiuti solidi urbani, ma «rifiuti speciali costituiti da indumenti ed accessori post-consumo», per dirla tecnicamente; abiti, scarpe e accessori vecchi, da buttar via o da dare in beneficenza. E a dar fuoco non erano esasperati cittadini, ma i responsabili di un traffico illecito di questi rifiuti, che avevano il compito, ampiamente retribuito, di portare ai centri di stoccaggio autorizzato per il trattamento di questo tipo di spazzatura. Invece, ogni notte, per anni e anni, hanno smaltito in quel modo quegli indumenti. Con quel che ne consegue in termini di inquinamento ambientale con l’immissione nell’aria di quantità abnormi di diossina che, ritornata sulla terra, ha inquinato falde acquifere e coltivazioni. «Dal 2002 avevamo parlato della Terra dei fuochi, ora la nostra denuncia è diventata la denominazione dell’inchiesta», spiega Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania. L’indagine dei carabinieri per l’ambiente, con il comandante del gruppo Napoli, Giovanni Caturano, e il responsabile del nucleo operativo, Achille Sirignano, nasce proprio da quei falò. Coordinata dal pm Annamaria Lucchetta l’inchiesta ha messo a nudo le responsabilità di una ventina di persone, collegate a vario titolo a società specializzate sia nella ricommercializzazione dei capi di abbigliamento dismessi e rigenerati, sia nel trattamento completo dei rifiuti speciali. Il gip Sergio Pastore firma 17 provvedimenti cautelari, notificati ieri dai militari che hanno sequestrato sette impianti produttivi e 8 autocarri per un valore di circa sei milioni di euro. Per i carabinieri è «un mastodontico traffico che andava avanti da anni». I rifiuti, trasportati in balle da 200/250 kg ciascuna, venivano prelevati dai camionisti, privi di autorizzazione al trasporto di rifiuti, per essere poi abbandonati e incendiati nelle campagne o sul ciglio degli assi viari di grande comunicazione che attraversano i comuni di Afragola, Arzano, Caivano, Marigliano. Ogni trasporto era assistito da «staffette» che davano l’allarme alla vista delle forze dell’ordine. È stato calcolato che, nonostante i sequestri di mezzi e aree di stoccaggio di balle di indumenti usati, i rifiuti sversati nelle campagne e dati alle fiamme ammontano a decine di migliaia di tonnellate, con danni gravissimi per l’ambiente, inquinato da diossine e furani. Tra gli arrestati (per la maggior parte incensurati) anche i rappresentanti delle ditte presso dove l'organizzazione prelevava le balle di rifiuti tessili. Tutte le società presso cui il NOE ha svolto accertamenti, pur avendo una semplice licenza di commercio, ricevevano indumenti post consumo ed accessori non trattati (quindi rifiuti); effettuavano una selezione degli stessi e producevano quindi un ulteriore rifiuto che, al fine di mantenere una parvenza di legalità, doveva essere smaltito in maniera illecita e quindi «a nero», rivolgendosi a trafficanti senza scrupoli e risparmiando ingenti somme sullo smaltimento. «Si tratta anche di un affare colossale che Legambiente ha stimato, solo in Campania, essere di oltre 600 milioni di euro annui», conclude Buonomo.

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