Delitto Orsi, giovanissimi alla corte di Setola
Sono giovani e pericolosi. Sono i figli dei detenuti per reati di camorra e giovani al soldo del clan dei Casalesi pronti a vendersi per un biglietto in discoteca gratis, per abiti griffati e auto di lusso. Vengono pagati milleduecento euro, stipendio base, solo per sostare fuori al bar e vedere chi entra ed esce da Casal di Principe. In un mese, in carcere ne sono finiti quattro, tutti con un'età compresa fra i diciannove e i ventitré anni: Salvatore Santoro di Trentola Ducenta, ora detenuto nel carcere di Catanzaro; Gianluca Bidognetti, figlio del capo clan Francesco; Mario Di Puorto e, infine, Gaetano Simeone, arrestato ieri per favoreggiamento aggravato, gestore del «Roxy bar» di via Dante dove Michele Orsi era entrato per comprare la Cola cola ai figli la domenica del primo giugno trovando la morte. A incastrare Gaetano Simeone, ragioniere appena diplomato, incensurato, non sono state solo le tre versioni diverse e contraddittorie raccontate ai carabinieri di Casal di Principe subito dopo l’omicidio e che hanno spinto il pubblico ministero della Dda di Napoli Alessandro Milita a definire il suo atteggiamento «artefatto». E nemmeno il fatto che il figlio di Michele Orsi vide allontanarsi la sua «Renault Clio grigia che si dirigeva in piazza San Rocco» dopo l'uccisione del padre. A inchiodarlo sono state le dichiarazioni di Oreste Spagnuolo, uno dei killer ora pentito dell'ala stragista del clan dei Casalesi, che ha riferito ai magistrati partenopei che dopo l'agguato mortale, a pranzo, Giuseppe Setola, Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia, esecutori materiali del delitto, raccontarono che «nel bar c’era il barista che appena li vide arrivare armati si gettò dietro al bancone». Ai carabinieri Gaetano aveva, invece, riferito che non aveva riconosciuto nessuno, che i killer indossavano i passamontagna. A ulteriore conferma del fatto che il giovane ai carabinieri aveva raccontato il falso favorendo il clan, è stata inserita nel fascicolo d’indagine un’intercettazione ambientale datata sette giugno registrata dagli inquirenti in occasione di un colloquio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere tra Gaetano e il padre Remolo, in cui il diciannovenne aveva mimato una pistola con le dita della mano, parlato all'orecchio del padre e indicato dei numeri: «Tre..quattro». Il padre, coinvolto in un fatto di sangue con il gruppo Bidognetti, si era anche lamentato, in una telefonata, del fatto che non poteva parlare della questione con i suoi compagni di cella. Barista con la faccia pulita Gaetano, ma all'occorrenza anche presunto messaggero di richieste di incontri tra Orsi e alcune persone, come racconta la vedova del titolare dell'Eco 4 ai magistrati. Dopo l'omicidio, avrebbe chiuso la saracinesca del bar «in modo da di eludere possibili accertamenti tecnici all'interno del locale e occultare la sua presenza sul luogo», si legge nell'ordinanza firmata dal gip Maria Vittoria De Simone. Alcuni testimoni dell'omicidio non escludono che il diciannovenne abbia lasciato il posto scavalcando il corpo di Orsi mentre l'azione di fuoco era ancora in corso. Ingenuo e inesperto Gaetano. La settimana dopo si era rimesso a lavoro con il bar aperto. Giovanissimo, con qualche anno in più di lui, è Mario Di Puorto, amico di Gianluca Bidognetti inserito nel clan da Massimo Alfiero. Aveva fatto da vedetta a Setola con la sua auto, una Smart For four grigia e il mese dopo si era preoccupato perché i carabinieri lo avevano controllato. Di Puorto avrebbe custodito le armi che Peppe Setola decise di riprendersi in occasione di un litigio con Alfiero. Gianluca Bidognetti, appena ventenne, venne incaricato di eseguire gli ordini. Come gli altri coetanei era stato coinvolto in un gioco più grande di lui finendo poi in carcere. Su una strada già segnata dal padre, diversa da quella intrapresa dalla madre Anna Carrino.