L’inchiesta della Finanza e dei carabinieri del Noe fa scoprire le infiltrazioni nel settore della raccolta

Tangenti sui rifiuti racket firmato Belforte

Fermati Buttone e Di Giovanni. Altri due indagati
5 dicembre 2008 - Rosaria Capacchione
Fonte: Il Mattino Caserta

Niente soldi ma cose. Cioè, l’impiego esclusivo dei mezzi imposti dalla famiglia Belforte, che nell’affare guadagnava il costo del noleggio di camion e pale meccaniche. La camorra di Marcianise era riuscita in questo modo a entrare nell’affare dei rifiuti, gestendo il settore alla maniera dei Casalesi: imponendo i noli a freddo e costringendo le ditte addette allo smaltimento dei rifiuti urbani, soprattutto durante il lungo periodo dell’emergenza, a lavorare per loro conto. Il clan Belforte - hanno scoperto i carabinieri del Noe e la guardia di finanza di Marcianise - hanno usato questa tecnica di taglieggiamento nei confronti di tutti i piccoli imprenditori impegnati nel settore della raccolta e del conferimento dei rifiuti utilizzando la tecnica della doppia estorsione. Da un lato imponeva le classiche tangenti da versare, a seguito di minacce di ritorsione, e dall’altro costringeva alcune aziende a divenire contitolari, per alcune loro attività, della ditta di cui due riferimenti del clan - il cognato del boss Domenico Belforte e un suo luogotenente - risultavano essere titolari. Indagine che, all’alba di ieri, ha portato all’esecuzione del decreto di fermo, firmato dal pm Raffaello Falcone, di Giuseppe Buttone e di Pasquale Di Giovanni - accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata alle estorsioni. L’inchiesta rappresenta un ulteriore sviluppo investigativo di un’altra indagine condotta dalla Dda di Napoli sulle infiltrazioni da parte delle organizzazioni camorristiche attive nella provincia di Caserta nel settore della gestione dei rifiuti che è in buona parte controllato dalla criminalità organizzata. Buttone e Di Giovanni sono considerati imprenditori di particolare successo nel ramo, con una posizione monopolistica nel settore del’intermediazione e del recupero dei rifiuti. Dagli accertamenti tecnici, oltre che dalle dichiarazioni accusatorie degli imprenditori e dei collaboratori di giustizia Gerardi e Froncillo, è emerso infatti che Buttone e Di Giovanni in realtà erano la longa manus del clan Belforte e che grazie alla loro appartenenza al clan sono riusciti a imporsi nel settore. I due risultano essere titolari di diverse società - tutte operanti nel settore dei rifiuti - e le vicende per cui è stato disposto il fermo riguardano fatti estorsivi attuate ai danni di persone che svolgono la propria attività nella stessa zona in cui il clan esercita la propria influenza. L’attività di Buttone e di Giovanni, nonché di altre due persone che risultano indagate nello stesso procedimenti, durava da parecchi anni. Nel corso delle indagini è stato accertato che alcune estorsioni sono state realizzate in concorso con il capoclan Salvatore Belforte. Nel 1997 il gruppo costrinse un imprenditore, in prossimità delle feste natalizie, a versare 20 milioni di lire al capoclan. Le indagini hanno dimostrato che gli indagati continuano tuttora ad operare tanto che, anche recentemente, si sono nuovamente presentati presso gli impianti dei medesimi imprenditori estorti. «L’operazione - commenta Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania - è la ulteriore conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che il settore rifiuti rappresenta ormai il core business della criminalità organizzata in provincia di Caserta e non solo. Un affare gestito da una vera e propria holding con un proprio consiglio d’ammnistrazione, rappresentanti e comitato scientifico. Un azienda criminale che fattura oltre 600 milioni di euro l’anno. A pagare le conseguenze sono l’economia sana della regione, i cittadini e l’ambiente».

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