Nugnes, un rosario rosso per l’ultimo viaggio

La rabbia di Pianura: «Ha difeso il quartiere fino alla fine»
2 dicembre 2008 - Pietro Treccagnoli
Fonte: Il Mattino

Sopra la bara un rosario con i grani rossi. È stato tumulato così Giorgio Nugnes, dopo l’ultima passeggiata, quella che non si vorrebbe mai fare, per le strade della sua Pianura, tra la sua gente. Ora dorme il sonno eterno nella nicchia numero T562, una delle tante, perché l’ex assessore che s’è ucciso sabato scorso si sentiva uno dei tanti in quest’enorme e orgogliosa periferia. Nel cimitero s’è trattenuta tanta gente, persone comuni, giovani, donne, anziani, chi lo conosceva (e chi non lo conosceva?) e chi l’ha sostenuto fino alla fine, negli ultimi due mesi di tormento politico e umano. Dopo la piombatura, il feretro è stato portato giù, nel sotterraneo del palazzone di nicchie, circondato da tombe e da un prato verde dove sono cresciuti i funghi. Mimma, la vedova, non aveva più lacrime. Un volto di pietra, ora che comincia il dolore vero, pieno di assenza. Accanto a lei il figlio maggiore Tommaso, alcuni parenti, poche amiche che volevano sorreggerla in quei minuti infiniti, atroci. «No grazie, lasciatemi, sto bene, sto bene» ha avuto la forza di dire. Poi, con il figlio, ha baciato la cassa. E Tommaso ha salutato l’ultima volta il padre con una carezza amichevole sul legno freddo, come a dire: non è un addio, sei sempre qui con me. Per Pianura, terra martoriata per quarant’anni dai rifiuti, dalla speculazione, dall’abbandono, dalla vergogna, ieri è stato il giorno del silenzio, in cui ogni giudizio è sospeso, allontanato come un fastidio. È il giorno delle lacrime e degli applausi. Perché nelle mille e mille facce incredule che hanno riempito il triangolo sghembo che si fa slargo e mai piazza, davanti alla chiesa di San Giorgio Martire, in quei volti terrei era scolpita la dignità, quella che il mistero della morte, di una tragedia inspiegata, restituisce e diffonde come un sano contagio. Non un mormorio, mentre le parole della liturgia e della predica di don Claudio De Caro, si diffondevano sopra le teste e raggiungevano persino le anziane signore affacciate alle finestre. Anche quando la bara, seguita dai più stretti familiari, sorretta dagli amici più cari, è uscita sui gradini del sagrato, a risuonare è stato un grande applauso e la voce di un solo uomo che ha gridato: «Giorgio sei grande». E avrà pensato, sei sempre vivo per noi, mentre la cassa veniva infilata nel carro funebre grigio assieme a tanti mazzi di fiori e una croce di orchidee gialle. E poi di nuovo il silenzio, mentre il corteo funebre ha percorso il miglio crudele fino al cimitero, in una Pianura spettrale, con tutte le saracinesche completamente abbassate e la gente che salutava Nugnes dal balcone con un semplice segno della croce. Unico gonfalone quello della congrega del beato Russolillo, al quale l’ex assessore, cattolico convinto e praticante, era particolarmente devoto. Quando una pioggerellina infida è cominciata a cadere, è stato aperto timidamente qualche raro ombrello. Che piova pure a dirotto. E i commenti dei pianuresi, di quelli che intaccavano il muro di ostilità alzato tra loro e i media, erano monocordi, ma rabbiosi. «Che cosa ha fatto di male Giorgio? Ha solo difeso la sua gente. E i politici, anche quelli della sua parte, l’hanno lasciato solo». I politici erano già andati via. C’erano volti anonimi, aspri, bastonati, gelati più dalla commozione che dal freddo. Un lutto diffuso. Tutte le facce, tutte le anime di una terra alla quale hanno rubato i sogni. «Giorgio ha amato Pianura fino alla fine» spiegava, senza rallentare il passo, un ragazzo, forse uno dei tanti che nei giorni terribili di gennaio difendeva contrada Pisani dalle ruspe. «Non è mai andato via e quello che gli pesava più di tutto, in questa vicenda giudiziaria, era l’allontanamento forzato dal quartiere». Nel campo di calcio dove gioca la squadra locale è ancora appeso lo striscione che lo esalta: «Nugnes, uomo legale e politico onesto». Domenica scorsa contro il Matera i calciatori del Pianura hanno giocato con il lutto al braccio, perché hanno perso un tifoso eccellente, che, quando poteva, era sugli spalti a incitarli, magari fianco a fianco a rivali politici come Pietro Diodato, riuniti per un pomeriggio dai colori biancazzurri. Piano piano il quartiere ha ripreso a vivere. Le saracinesche si sono alzate. Davanti alla villa comunale si è provato a chiacchierare d’altro. Chissà quanti, tornati a sedersi sul proprio divano, hanno poi rispettato l’invito del parroco lanciato durante la messa funebre: per un giorno non accendete la televisione, risparmiatevi notizie che stridono con la verità. Pianura difende la sua verità, il suo martire. Ma c’è qualcosa di ancora più ferocemente incongruo e che non riesce a risollevare gli animi di chi torna mesto a casa: la nenia dei zampognari che, bottega bottega, rinnovano la questua rituale, nel Natale più triste di Pianura.

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