Lo Uttaro era già inquinata nel 2003
Ieri il commissario per l'emergenza rifiuti, prefetto Gianni De Gennaro, è tornato a ribadire che «la discarica di Lo Uttaro, in provincia di Caserta, non verrà utilizzata. Sono stati avviati accertamenti per conto dell'autorità giudiziaria, cui spetta il compito di valutarne l'esito al termine dei relativi esami». Tuttavia, ora chi si dice allarmata, è l'Acsa, il consorzio di bacino commissariato che gestisce da aprile 2007 il sito di Caserta. Giustappunto Lo Uttaro, vale a dire la discarica che ha spinto definitivamente De Gennaro a rinunciare all'utilizzo dei vecchi invasi a causa delle discordanze emerse tra i controlli passati e quelli, invece, disposti dall'attuale struttura commissariale ed eseguiti dal Genio militare.
Dallo scorso novembre, la discarica Lo Uttaro è posta sotto sequestro, benché adesso sia stata temporaneamente liberata per consentire il completamento dei lavori del settimo anello di contenimento. «Sia fatta chiarezza — esorta Antonio Limatola, direttore dell'Acsa — una volta e per tutte. L'ex commissario Bertolaso ci richiamò e con un'ordinanza dispose la riapertura del sito che, dall'aprile dell'anno scorso, abbiamo gestito. Ora, se De Gennaro si ritiene allarmato perché sarebbe stato rinvenuto altro materiale pericoloso pregresso ci dica cosa occorre fare. Per quanto mi riguarda — precisa Limatola— posso solo dire che da quando la discarica è nella nostra gestione abbiamo proceduto a controlli rigorosissimi, eseguiti da uno dei più prestigiosi laboratori d'Europa, sia sugli sversamenti, sia sulla falda ». Limatola risulta indagato in un procedimento giudiziario della procura di Santa Maria Capua Vetere assieme ad altre persone. Gli vengono contestate violazioni che, in qualche modo, lui spera di poter confutare: «Non fosse altro — conclude — perché vengo accusato di aver accettato rifiuti pericolosi, idrocarburi e carbonio organico disciolto, sulla cui definizione di pericolosità, invece, ci sono prescrizioni sia dell'Istituto superiore di sanità, sia dell'Apat secondo le quali la valutazione di rischio dovrebbe essere legata non alla presenza di carbonio in valore assoluto, bensì a screening di markers di tossicità».
Un dato è certo, la storia di sospetti e ombre sugli sversamenti a Lo Uttaro è descritta in modo chiaramente drammatico dal decreto di sequestro preventivo emesso dal gip Raffaele Piccirillo. Si fa riferimento alle due relazioni tecniche stese da Bruno Orrico, responsabile della struttura tecnica del prefetto delegato alla gestione dell'emergenza rifiuti, nel 2001 e nel 2003. Orrico ha rilevato «notevoli discrasie tra i dati esposti a supporto della richiesta di autorizzazione in ordine a superfici e profondità degli invasi, particelle interessate dall'intervento, dimensioni degli interventi di impermeabilizzazione e analisi geologica». Discrasie che «emergevano — scrive il gip — sia dal confronto tra i vari elaborati progettuali che dal rapporto tra questi e gli atti stilati nel corso dell'istruttoria e nelle fasi di controllo della gestione della discarica che inducevano il tecnico della struttura commissariale a censurare il parere positivo a suo tempo espresso dalla Commissione tecnico-consultiva: ‘‘ le discrasie e la non veridicità dei dati sono così evidenti che ancora oggi rende di difficile comprensione il parere positivo espresso dalla commissione consultiva'' ». Orrico, otto anni fa, ha evidenziato come già «la capacità assentita dall'autorizzazione regionale (500 mila tonnellate) eccedeva la reale capacità recettiva dell'impianto progettato, capacità che ammontava a 345 mila tonnellate». Si era «inoltre realizzato attraverso una complessa dinamica di riaccatastamenti lo sfruttamento di una particella mai assentita dalle autorità competenti». Non solo, «mancando la prova del prelievo regolare del percolato, questo o è stato smaltito illegalmente oppure verosimilmente è rimasto lì. Inoltre — conclude il tecnico — rispetto alle 500 mila tonnellate di rifiuti autorizzati, sul posto sono state sversate oltre 1 milione 100 mila tonnellate sino al 1993, epoca, in cui, chiudemmo il sito privato». Insomma, sospetti che si congiungono agli allarmi sollevati da De Gennaro su cui la magistratura indaga e, quanto prima, dovrà fare chiarezza.