La telefonata: «Venite» E Peppe sparò per primo nel bar ma lo uccise Giovanni Letizia

«Tornò a casa con le scarpe sporche di sangue»

Oreste Spagnuolo racconta le fasi del delitto La testimonianza di vedova, fratello e figlio
19 novembre 2008 - Rosaria Capacchione
Fonte: Il Mattino Caserta

Un paio di scarpe insanguinate, di tela, che Giovanni Letizia indossava la mattina dell’omicidio. Era il sangue di Michele Orsi, che lui voleva lavare senza disfarsi delle Hogan appena acquistate. Le aveva buttate poi, quando glielo aveva ordinato Peppe Setola. Erano partiti da Varcaturo, dal loro rifugio, intorno alle 9,30 del mattino, quando era arrivata la prima telefonata di Mario Di Puorto, incaricato di seguire Orsi per chiamare la battuta. Nell’Alfa 147, vista anche dalla telecamera di una farmacia e già utilizzata nell’omicidio di Umberto Bidognetti, c’erano Setola, Letizia e Alessandro Cirillo. Oreste Spagnuolo era rimasto a casa, come aveva deciso il capo. Arrivarono a Casale in sette minuti, poi si appostarono in una casa poco lontana da quella di Michele Orsi. Quando arrivò la seconda telefonata di Mario Di Puorto, arrivarono in un minuto al Roxy bar: «Dall’auto - racconta Spagnuolo - scesero Setola e Letizia mentre Cirillo attendeva alla guida. Setola entrò nel bar e sparò subito ad Orsi, che cercò di scappare. Ma fuori c’era Letizia che gli sparò avendolo di fronte, colpendolo alla testa con una 357 Phyton. Letizia prima di partire, si mise una parrucca e gli occhiali, Setola agì senza camuffamenti». Ecco l’agghiacciante racconto verbalizzato dai magistrati il 7 ottobre del 2008, data della prima confessione di Spagnuolo. Non aveva assistito all’omicidio, ma aveva ascoltato le parole di chi aveva sparato e che aveva visto partire da casa a bordo della 147, trovata in uno scasso qualche giorno dopo il pentimento. È lui a tirare in ballo, pesantemente, Mario Di Puorto, una sorta di detenuto volontario da quasi tre mesi. Murato in casa, simulando al telefono di essere, invece, fuori regione. Morto di paura, da quando aveva detto no alla strategia stragista di Giuseppe Setola e del suo «padrone» Gianluca Bidognetti. Con il suo arresto il clan dei Casalesi ha perso un’altra pedina importante, l’uomo che il primo giugno comunicò al commando guidato da Setola che Michele Orsi era uscito da casa e che era entrato nel Roxy bar. È l’uomo che era alla guida della Smart for four grigio-nero notata all’esterno del bar da Sergio Orsi e dal figlio del patron di Ecoquattro. È lo stesso uomo che nei giorni precedenti ne aveva seguito la moglie fino all’istituto scolastico dove insegna, e che aveva fatto di tutto per farsi notare anche da lui. È anche l’uomo che per mesi e mesi ha conservato e nascosto le armi di Gianluca, il figlio più piccolo di Francesco Bidognetti e Anna Carrino; e che alla metà di agosto è stato costretto a sospendere le vacanze in Abruzzo assieme al suo amico Luigi Tartarone - un altro uomo di Setola, latitante da un mese e mezzo - perché Gianluca voleva «quelle cose, le bottiglie di champagne», come gli aveva riferito la madre in una drammatica telefonata. Mario Di Puorto è stato incastrato dalle testimonianze dei familiari di Michele Orsi - il fratello, il figlio, la moglie, il nipote. Spagnuolo ed Emilio Di Caterino hanno aggiunto: «L’omicidio è stato deciso da Setola. Michele Orsi doveva morire perché aveva iniziato a rendere dihiarazioni collaborative con la giustizia nella materia dei rifiuti».

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