Fax di Sandokan dal carcere nuove minacce allo scrittore
Non ha mai parlato di Roberto Saviano, mai fatto cenno a possibili attentati contro lo scrittore di «Gomorra». Non è a conoscenza di un piano per ammazzare lo scrittore, di un progetto teso a colpire il simbolo della lotta alla mafia di Casal di Principe. Carmine Schiavone, il boss pentito da quindici anni, offre agli inquirenti un colpo di scena. Nelle stesse ore, viene rivelata a «Matrix» un’altra intimidazione subita dallo stesso Saviano. Francesco «Sandokan» Schiavone ha indirizzato un fax al suo avvocato dal carcere di Opera, dove è detenuto in regime di carcere duro. Il fax è stato spedito l’11 settembre ad uno degli avvocati di «Sandokan» e contiene alcune righe su Saviano che aveva da poco concluso un intervento al Festival della Letteratura di Mantova. «Questo grande romanziere - è scritto nella parte finale del fax inviato da Sandokan - che fa il portavoce di chissà chi deve smettere di fare illazioni calunniose false su di me non solo in conferenza stampa, ma poi riportate sui giornali letti da milioni di persone, accostandomi a signori che non ho mai conosciuto». Un colpo di scena, al termine di una giornata caratterizzata sul fronte investigativo dall’interrogatorio del pentito Carmine Schiavone. Ascoltato dal procuratore aggiunto Franco Roberti e dal pm Antonello Ardituro, il cugino di Sandokan ha smentito l’ipotesi attentato: non ha parlato di Saviano, né è a conoscenza dei piani dell’ala stragista targata Setola e Bidognetti. Il giallo sulla morte annunciata dell’autore del best seller resta dunque irrisolto. Anzi è destinato a infittirsi. Per il momento sono pochi i punti fermi: si parte da un’annotazione di servizio fatta da un agente della Questura di Milano lo scorso primo ottobre. La nota ha una serie di protagonisti: c’è un personaggio al momento rimasto anonimo, che avrebbe raccontato in una cena a Milano il rischio attentato per Saviano a un suo amico medico. Quest’ultimo è conosciuto come uno specialista che ha avuto spesso in cura Carmine Schiavone, che viene tirato in ballo in questa vicenda con una sorta di deduzione logica compiuta probabilmente dal funzionario di polizia. Fin qui ci sono i punti fermi, oltre i quali arrivano i dubbi, resi più evidenti dalla smentita secca offerta ieri dal boss-pentito. La Dda ora punta ad ascoltare il medico indicato nell’annotazione. Poi vuole interrogare tutti i protagonisti di questa storia, agente compreso, fino al mister x che ha dato inizio all’indiscrezione che ha aperto il caso. Una vicenda commentata dallo stesso Saviano ieri sera a Matrix: «Ringrazio quel funzionario di polizia che ha scritto la nota e così ha permesso di conoscere questa situazione. Il dietrofront di Carmine Schiavone? Difficilmente un pentito ammette di avere ancora rapporti con i clan». Una vicenda che comunque suscita allarme (oltre a Saviano, sono a rischio anche agenti di polizia e carabinieri, secondo quanto emerso da alcune intercettazioni effettuate nel corso delle indagini del pool anticasalesi) e che lascia spazio peraltro anche a un paradosso. Il caso obbliga infatti gli inquirenti a prevedere nuove misure di protezione anche per lo stesso collaboratore di giustizia Carmine Schiavone: da quindici anni lontano dal crimine, recentemente «licenziato» dal programma di protezione (anche se è rimasto sotto tutela), dopo aver ottenuto una buonuscita, un lavoro e finte generalità, ora il cugino del boss dei Casalesi torna sotto un livello di guardia altissimo. La posizione assunta ieri dinanzi agli inquirenti non meraviglia nessuno: ammettere di avere contatti con il crimine per un collaboratore di giustizia è un reato che può costare la revoca di benefici consolidati nel tempo, specie per un pentito sul cui nome ora pende il peso di un caso irrisolto.