La pista: interessi sugli appalti un affare da cinquecento milioni
Accade in un momento di tregua, in una fase definita «morbida» nei rapporti tra i vertici Recam e il sindacato lavoratori in lotta. Accade in un momento delicato invece per le attese del territorio campano sul potenziale di spesa della Recam, una macchina in grado di macinare note spesa grazie a massicci investimenti a pioggia. Una constatazione che spinge gli inquirenti a guardare all’esterno dei rapporti che la Recam intreccia sul territorio campano. Ed è questa la possibile pista battuta dagli inquirenti, che puntano dritto a cantieri e aziende monitorati dall’azienda rilanciata negli ultimi mesi da una strategia aggressiva e un business plan di altro profilo. Bonifiche e ricognizioni in ditte impegnate nel delicato settore dei rifiuti, in strutture per anni gestite da prestanome e faccendieri in alcuni casi legati a doppio filo alle maglie della camorra. Al momento si tratta di una traccia, su cui procedono le indagini del vicequestore Antonio Sbordone. Indagini che ieri hanno fatto registrare la prima acquisizione formale. La polizia ha infatti interrogato Claudio Refuto, ex capo del personale della Recam, in passato vittima di aggressioni e di un sequestro di persona da parte dell’ala più agguerrita del sindacato. Poi è toccato a un dirigente rispondere alle domande degli inquirenti, con una serie di passaggi che spingono la Digos a soffermarsi sulla storia più recente dell’azienda, su nuovi innesti, nuovi massicci investimenti di denaro pubblico. Oltre cinquecento milioni potrebbero essere investiti dallo Stato per riqualificare aree devastate da scarichi e sversamenti nel territorio campano. Ce n’è abbastanza per sensibilizzare interessi criminali. Dalla regìa targata Recam dipende buona parte dell’indotto dei comuni impegnati sul fronte delle discariche o della lavorazione dei rifiuti industriali. Altra traccia riguarda le indagini in corso. Chi ha dato fuoco all’edificio di Poggioreale può averlo fatto con un obiettivo mirato: distruggere le tracce di gestioni passate, eliminare scomode verità, anche alla luce di inchieste probabilmente ancora in corso. In fumo dunque documenti contabili, ma anche archivi e data base, innesti societari, verbali di consigli interni, esposti e quant’altro è ancora in grado di far luce sulla macchina antibonifica. Due piste per il momento parallele. Ed è questo il motivo che spinge gli inquirenti ad ascoltare potenziali testimoni di pressioni subite in questi anni dentro e fuori l’azienda. Il fatto più grave riguarda il sequestro subito da Claudio Refuto. All’epoca capo del personale, fu rinchiuso in una stanza da un gruppo di esponenti del sindacato lavoratori in lotta. Nei suoi confronti accuse di accordi con esponenti dell’assessorato regionale, per riformulare un contratto di assunzione di centinaia di ex lavoratori socialmente utili, in un travaso che ha racchiuso la storia recente della Recam, un’azienda pubblica che resta al centro di fatti e inchieste di cronaca.