GLI ANTAGONISTI L'opposizione sociale si contamina con il territorio

No global e no discarica, ecco chi attende Berlusconi

2 agosto 2008 - Francesca Pilla
Fonte: Il Manifesto
Un ragazzo, avrà poco più di vent'anni, con una capa di ricci neri, e la sigaretta sempre accesa, è nascosto dietro la montagna di comunicati, nell'unica stanza dell'università da dove si può accedere a Internet. Sta sempre lì notte e giorno. Basta questo a creare una «frattura» tra il collettivo Giap dell'Orientale, i centri sociali napoletani e le reciproche accuse, tra i primi convinti che gli antagonisti non se ne importino nulla dei bombardamenti in Jugoslavia ma pensino solo alla visibilità, a fare la loro figura in uno dei cortei in preparazione a Roma, e i secondi persuasi di aver a che fare con degli studentelli che giocano alla rivoluzione. La prima occupazione del paese contro quella guerra alla Serbia, voluta dagli Usa e appoggiata da D'Alema, dura solo 72 ore, ma non per colpa di Francesco Caruso, che aveva in pugno il «centro operativo», allora ancora amico per la pelle di Luca Casarini. Contro quei 70 giorni di bombardamenti non si faticò poco a creare una mobilitazione compatta. Ma il '99 è uno spartiacque tra le grandi mobilitazioni, del 93-94 contro il primo governo Berlusconi e il movimento no global da Seattle a Porto Alegre. In molti ancora lo ricordano.

I no monnezza
A Chiaiano del presidio contro la discarica, di quelle concitate giornate di maggio sono rimasti due gazebo in plastica e ferro, quasi romantici. Ma ieri Berlusconi è venuto prima di congedarsi per la pausa estiva e andare in Sardegna, a inaugurare la fase due dell'emergenza rifiuti, e i comitati erano lì sotto il sole ad attenderlo. Il cavaliere ha risbandierato il suo successo in cui aveva la strada spianata dal dirigente del sisde De Gennaro, ma la questione ambiente sul territorio è rimasta tutta lì dove l'avevamo lasciata a gennaio. I comitati lo sanno. In gioco c'è un bisogno reale, preservare il territorio ed evitare le speculazioni delle lobby imprenditoriali. E può rappresentare anche in Italia, come accaduto in India o in America Latina, un «incontro» e lo sviluppo accelerato di un movimento. A Napoli negli ultimi tempi, dalla mobilitazione per l'acqua pubblica capitanata da padre Alex Zanotelli ai no discarica, è andata così. «Sono movimenti specchio della questione democratica, come è stata la gestione del terremoto 15 anni fa», per Alfonso De Vito di questo si tratta. «Alfonsino», uno dei capi saldi dell'attivismo partenopeo, uno che si è trovato a partecipare alle stagioni a ridosso del primo maggio '91, giorno dell'occupazione di Officina 99, alla crescita del «Movimento», ma anche alle sue spaccature. Sono passati 17 anni da quando a Gianturco, nella periferia dimenticata, dove quasi nessuno metteva piede, è cambiato qualcosa, e la politica ha smesso di essere esclusiva (o quasi) delle sedi precostituite. Ma all'epoca, quando nasce uno spazio sociale autogestito «classico», che non aveva nulla a che fare con le case occupate proprio nella fase post-terremoto, si tratta di una novità assoluta. Ci sono Carla, Samos, Luca Persico o' Zulù, Mario Avoletto, poi arrivano Alfonso, Pietro Rinaldi, Roberta Moscarelli. E tanti altri. Quelli che fanno nascere i collettivi internazionalisti di appoggio alla I Intifada e alla rivolta zapatista, che partecipano all'incontro internazionale contro il neoliberismo, che pongono in essere le sinergie con i disoccupati organizzati. Sono i ragazzi di Officina a dare la spinta e trasformare la politica in tendenza, a invadere il centro storico, a guidare una parte della cultura giovanile. Le posse, le iniziative, i cortei, gli scazzi, operai e studenti, piccoli gruppi che non comunicano e grandi alleanze che nascono e naufragano.

Vecchio e nuovo movimento
A Chiaiano, ad Acerra contro il termovalorizzatore, a Taverna del Re contro la città delle ecoballe oggi va diversamente, si vince e si perde, ma c'è una contaminazione diretta con il territorio: «E' vero che i presidi spesso prolungati nel tempo - spiega Alfonso - si sono trasformati in una sorta di centro sociale informale, luoghi fisici dove aprire un dialogo con componenti che normalmente non le hanno». Le forme di protesta sono mutate, dal 2001 si è voltata pagina. La macelleria alla manifestazione del Global Forum il 17 marzo, la Raniero, «le prove generali per Genova» dissero allora. Quindi la Diaz, l'11 settembre, i processi, anche e soprattutto per il meridione, quello di Cosenza per tagliare le gambe al Sud ribelle, hanno pesato.
«In una fase così profonda di crisi della politica ufficiale, i centri sociali rappresentano ancora uno spazio di partecipazione diretta, un luogo vivo di resistenza». Mario Avoletto è infatti sempre al suo posto, a «resistere» come si è detto per un periodo. «Non lo dico io - ribatte sicuro - lo dimostra la nascita di nuovi centri sociali, le battaglie contro la precarietà, il razzismo, la guerra, contro megadiscariche ed inceneritori». Vecchio e nuovo in continuità, e ora anche Berlusconi ci mette lo zampino tentando di riportare indietro l'orologio del tempo con il suo «coccolare» il pensiero di un nuovo G8 a Napoli.
Pietro Rinaldi, originario di Marano, avvocato, si è trovato la discarica in casa e ha unito le esperienze: «In realtà la scommessa fatta ieri - spiega - vede oggi una risposta concreta con le scelta di lavorare insieme ai cittadini. E non è un caso che i protagonisti del fronte per la difesa del territorio siano di quella generazione '80 -'90».
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