La Procura contesta agli indagati di aver tratto vantaggio dalla crisi Il dirigente: io ero già in pensione al bar mai pagato con soldi pubblici

Catenacci: così ho fermato altri consulenti

L’ex commissario ai pm: volevano assumere uno staff di collaboratori da tutt’Italia, mi sono rifiutato di firmare
26 luglio 2008 - Leandro del Gaudio
Fonte: Il Mattino

Uno staff di consulenti in arrivo a Napoli da tutte le regioni d’Italia, mancava solo una firma, quella dell’allora commissario Corrado Catenacci. Una firma che lui non ha mai messo, bloccando sul nascere un’infornata di assunzioni previste dall’alto. È uno degli argomenti spesi dal prefetto Corrado Catenacci nel corso del lungo interrogatorio reso dinanzi ai pm che indagano sulla gestione del commissariato per l’emergenza rifiuti in Campania. Quattro ore davanti ai magistrati Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, titolari assieme all’aggiunto Aldo De Chiara dell’inchiesta che vede indagati l’attuale prefetto Alessandro Pansa e i vertici della Protezione civile. Quattro ore per respingere l’accusa di truffa, di smaltimento illecito di rifiuti, con l’ipotesi di aver agito sullo stesso livello della Fibe e delle società del gruppo Impregilo in Campania. Difeso dal penalista Ettore Stravino, Catenacci ripercorre il suo mandato in sella alla cabina di regia dell’emergenza rifiuti - marzo 2005, settembre 2006 - una stagione spesso definita di «rottura», in aperto contrasto con le affidatarie dell’appalto per la costruzione di impianti e termovalorizzatore. Assunzioni e consulenze. Il primo capitolo riguarda le assunzioni. Io le bloccai - spiega Catenacci - ma era già tutto provisto, mancava solo la mia firma. A Napoli dovevano arrivare consulenti da tutta Italia, io dissi di no. Niente assunzioni, neppure un quattrino doveva uscire con il mio permesso. Il contenzioso. È un altro punto della difesa dell’ex commissario Catenacci. Quando mi insediai - dice ai pm - ho chiesto a titolo di risarcimento di centinaia di milioni di euro, sollecitando l’intervento dell’avvocatura dello Stato. Poi lo stop sull’agio di riscossione a carico dei Comuni da parte delle ditte affidatarie, le lettere protocollate per denunciare possibili disfunzioni nell’applicazione del contratto. La pensione. Catenacci replica all’accusa di fondo, quella di non aver mosso un dito di fronte alle inadempienze nel ciclo raccolta rifiuti. Un’accusa mossa dalla Procura di Giovandomenico Lepore a tutte le persone coinvolte - tra funzionari pubblici e manager d’azienda - in vista di un obiettivo in particolare: l’emergenza - dicono i pm - da qualsiasi punto la guardi, conviene sempre. E a tutti. Consente incassi alti e garanzie di carriera per commissari e imprenditori. Una tesi respinta da Catenacci: ero già in pensione quando fui chiamato in commissariato antirifiuti, non avevo altre prospettive di carriera. Percepivo una pensione di seimila euro e non ho mai preteso un quattrino in più per il lavoro che svolgevo, anche al ristorante o al bar non ho mai offerto un pranzo o un caffé con i soldi del commissariato. Una replica che finisce negli atti dell’inchiesta bis a carico del commissariato per l’emergenza rifiuti. Più di trenta indagati, una vicenda che vede coinvolti anche Michele Greco e Marta Di Gennaro, in una gestione che secondo il gip del tribunale di Napoli Rosanna Saraceno non ha mai fatto registrare veri e propri momenti di controtendenza.

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