Napoli, avvelenato dal carico chimico che stava nascondendo

19 febbraio 1991 - Piero Melati

NAPOLI Caccia in elicottero a trecento fusti di metallo zeppi di veleno, sepolti a dodici metri di profondità in una delle cinquanta discariche clandestine fra la zona orientale della città e l' area di Lago Patria. Barili di materiale tossico, trasportati su un camion proveniente da Cuneo dall' italo-argentino Michele Tamburrino, 38 anni. L' uomo si trova adesso cieco e semiparalizzato all' ospedale di Potenza. Uno schizzo di quelle scorie lo ha colpito accidentalmente al viso, durante le operazioni di seppellimento. Non si esclude che possa trattarsi di materiale radioattivo. L' autista, in preda al terrore, ha deciso di confessare. Le autorità si preparano a fare intervenire esercito e protezione civile, per stringere un cordone militare intorno alla zona interessata e neutralizzare la bomba ecologica. La zona a rischio è stata circoscritta, affermano gli inquirenti. Il procuratore di Sala Consilina, Domenico Santacroce, titolare dell' inchiesta, lancia un appello: Quelle sostanze sono molto pericolose. Qualcuno è stato testimone del seppellimento. Riveli il luogo. Noi gli garantiremo l' anonimato. Sono le 10 e 40 del quattro febbraio quando, all' ospedale Cardarelli, un uomo si presenta al pronto soccorso. E' Michele Tamburrino, l' autista del camion che ha prelevato a Pianfei, in provincia di Cuneo, 150 fusti di rifiuti speciali diretti alla discarica campana di Santa Anastasia. I barili sono stati prelevati dalla Ecomovil, una azienda specializzata nello smaltimento di rifiuti tossici. Tamburrino racconta ai medici di essere stato colpito in volto da un getto fuoriuscito dalla batteria del mezzo. I medici insistono perchè si ricoveri. Ma lui non vuol saperne. Tornato a casa, a Garaguso, in Basilicata, le sue condizioni si aggravano. Il medico di famiglia lo fa ricoverare all' ospedale di Matera. Da qui viene trasferito a Potenza, dove gli verrà diagnosticata una intossicazione da sostanze chimiche di natura non precisata. Partono le prime indagini. La prima a smentire il racconto di Tamburrino è la moglie, Rosaria Rizzuto. Racconta agli inquirenti: Portava sostanze pericolose. Subito dopo si scopre che l' uomo lavora per la Cardiello autostrasporti di San Pietro al Tanagro, in provincia di Salerno. Il procuratore capo di Sala Consilina, Santacroce, ne dispone il sequestro dei capannoni. Per quindici giorni le indagini proseguono in segreto. Il questore di Napoli, Vito Mattera, invia una nota al Viminale per informare che il Tamburrino era stato ricoverato presso l' ospedale civile di Matera per lesioni simili a quelle da contatto con materiale radioattivo. Viene passata al setaccio la discarica Centro smaltimento Sud di Sant' Anastasia, dove il materiale doveva essere ufficialmente trasportato. Qui non c' è traccia di radioattività, ma si scopre che i rifiuti prelevati a Cuneo erano accompagnati da certificati di analisi che ne assicuravano la non tossicità. Un giallo che, per i primi giorni, Tamburrino si rifiuta di chiarire. Si convince a parlare soltanto la scorsa settimana. I medici gli spiegano che se non verrà ritrovato il veleno che lo ha contaminato sarà impossibile formulare una diagnosi precisa. Ma non dice tutto. Afferma di non conoscere con esattezza i luoghi, due auto lo avrebbero scortato di notte nella discarica, dove i fusti sono stati occultati. Le indagini passano alla Digos partenopea, diretta da Romano Argenio. Sabato scorso dall' aeroporto di Capodichino si alzano gli elicotteri del sesto reparto di polizia. Da allora battono ogni giorno l' area di Monteruscello che degrada verso la pianura, cave e cantieri ai lati della tangenziale, gli scarichi a Ponte di Pianura. Qui, in linea aerea verso la zona di Lago Patria, si nasconde da qualche parte il sito dei veleni. Ancora ieri, per quattro ore, l' elicottero del vicequestore Massimo Frisina ha fotografato ogni punto sospetto. Tracciando una mappa clamorosa: nel solo hinterland napoletano sono almeno cinquanta le discariche abusive, nascoste all' ombra di grandi cave di tufo, occultate nel ventre di montagne di lattine e detriti, coperte dall' attività di improbabili cantieri edili. Un business stimato in 600 miliardi l' anno, quello dello smaltimento dei rifiuti tossici, che fa sospettare un traffico illegale fra Nord e Campania, in cui quest' ultima sarebbe la pattumiera. Un traffico gestito dalla camorra. Da Pianfei, intanto, il titolare della Ecomovil, Franco Farò, smentisce che bidoni tossici provengano dalla sua ditta. Conferma che Tamburrino ha effettuato il trasporto, come già quattro volte a gennaio, attraverso l' intermediazione della Transfermaner di La Spezia. E rende noto che, nel novembre scorso, presentò ai carabinieri di Villanova Mondovì una denuncia per minacce. Qualcuno voleva imporgli prezzi non di mercato. Da oggi le ricerche impegneranno anche reparti speciali dell' esercito. Si serviranno di strumenti in grado di captare il carico occultato. Si tratta di almeno 340 quintali di veleno.

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