Terra dei fuochi, decenni di allarmi e indagini senza una verità definitiva

5 novembre 2013 - Simone Di Meo

A prestar fede al pentito Carmine Schiavone, il grande scempio ambientale dei rifiuti interrati nelle viscere della terra avrebbe trovato scarsa sensibilità da parte di magistrati, forze dell'ordine e istituzioni locali in questi anni. Perché, è la sua versione, pur conoscendo nei dettagli lo scenario apocalittico delle falde acquifere inquinate da scorie tossiche e radioattive, nessuno dei soggetti deputati a intervenire avrebbe mosso un dito. Lasciando le province di Napoli e di Caserta esposte a un livello letale di avvelenamento.

La realtà, a leggere gli atti giudiziari, è ben diversa: da metà degli anni Ottanta, le Procure di Napoli e di Santa Maria Capua Vetere hanno ingaggiato una lunga ed estenuante battaglia contro quest'infame business. I pm hanno aperto inchieste, fatto arresti, scavato – e non solo in senso metaforico – alla ricerca del filone giusto che portasse a neutralizzare il fenomeno del traffico di rifiuti gestito dai Casalesi.

I risultati, piuttosto, sono stati sconfortanti perché solo in rarissimi casi si è giunti a sentenze di condanna. Per dirne una, nel 2000, i magistrati aprono un fascicolo – ribattezzato "Cassiopea" – sulle discariche abusive gestite da imprenditori collusi coi tagliagole casertani. È un processo monumentale: 100 faldoni, migliaia di intercettazioni telefoniche, pedinamenti, decreti di sequestro, ricostruzioni e perizie. Che muore però ancor prima di venire alla luce. Il 16 settembre 2011, il gup Caparco dichiara la prescrizione per tutti gli imputati perché, in un decennio, i ritardi e i conflitti di competenza hanno azzoppato l'indagine.

Dunque, la questione non è tanto la presunta inerzia degli organi inquirenti, ma la qualità investigativa del lavoro fatto. Perché, allora come oggi, gli indizi c'erano. E in abbondanza. Solo che, per chissà quali ragioni, l'ecomafia è stata trattata come un'emergenza di serie B.
D'altronde, basta guardare le date.

Il 4 febbraio 1991, il camionista Mario Tamburrino si presenta alla clinica Pineta Grande di Castel Volturno accusando un vistoso calo della vista dopo aver trasportato un carico di rifiuti tossici che i pm scoprono essere stato intombato in un terreno dalle parti di Villaricca, nel Napoletano. L'uomo diventa cieco poco tempo dopo, ma è solo due anni dopo (14 marzo 1993) che i pm fanno scattare le manette per 116 indagati.

È l'inchiesta "Adelphi", quella in cui spuntano per la prima volta l'ombra della P2 e i rapporti tra i Casalesi e Licio Gelli. Il 28 settembre successivo, vengono accolte solo 10 richieste di rinvio a giudizio sulle venti proposte: tra cui quella a carico del boss Francesco Bidognetti. Il padrino Francesco Schiavone Sandokan viene invece prosciolto; ancor prima, il Riesame aveva addirittura annullato l'ordine di arresto nei suoi confronti.

Le indagini della magistratura accertano che i rifiuti stoccati tra Napoli e Caserta arrivano da gran parte d'Italia, ma i traffici proseguono indisturbati. L'11 giugno 1994, finisce in galera Francesco Di Puorto, imprenditore in odore di camorra legato al boss Antonio Iovine e in rapporti con Gaetano Cerci e Licio Gelli. Secondo i pm, è l'uomo dei Casalesi in Toscana addetto al procacciamento dei rifiuti da portare in Campania; ma, anche in questo caso, le prove traballano e l'indagine non riesce a creare un argine.

Il 28 marzo 1995, dopo aver riempito centinaia di pagine di verbali, Carmine Schiavone depone per la prima volta in aula. Racconta ciò che oggi fa gridare allo scandalo, e cioè che la camorra ha riempito gli scavi realizzati per la costruzione della superstrada Nola-Pomigliano d'Arco sostituendo il terriccio con tonnellate di rifiuti trasportati da tutta Italia. E dichiara: «La zona del Casertano è piena di rifiuti che il clan sotterra nelle vasche ittiche e nelle cave, dopo aver preso accordi con trasportatori provenienti da tutta Italia».

Il 23 maggio 1996, nella relazione semestrale, la Direzione investigativa antimafia segnala, tra gli affari illeciti della camorra, lo «smaltimento dei rifiuti urbani e tossici». Aggiungendo anche che «è stato calcolato che circa l'80% dei rifiuti tossici viene smaltito in modo illegale e che la parte del leone in questo business viene svolta dai clan camorristici campani».

Già allora, le indicazioni sono precise al millimetro: i comuni maggiormente interessati sono Castel Volturno, Capua, San Felice a Cancello, Villa Literno, San Marco Evangelista, Santa Maria Capua Vetere. Gli stessi di cui parlerà, diciassette anni dopo, Carmine Schiavone. Nel rapporto, la Dia scopre anche un altro dettaglio interessante: e cioè che il traffico dei rifiuti è bidirezionale. Cioè: anche la spazzatura prodotta a Napoli e Caserta viene smaltita fuori dai confini regionali. Tant'è che gli 007 antimafia fanno i nomi anche di dieci società extraregionali destinatarie dei rifiuti tossici provenienti dalla Campania. «In alcuni casi - dice il rapporto – è stato verificato che i rifiuti sono stati scaricati in regioni nelle quali vigeva il divieto di smaltimento di materiali provenienti da altre regioni».

Il 5 giugno 1998, finalmente, qualcosa si muove: il nucleo subacqueo carabinieri mette in acqua un robot, "Pluto", per scandagliare i 21 laghetti di Castel Volturno alla ricerca dei fusti tossici indicati da Carmine Schiavone. In precedenza, le analisi chimiche ordinate dall'assessorato provinciale all'Ambiente avevano assicurato: nessun allarme. Tre giorni dopo, il robot si impantana sul fondale di uno degli specchi d'acqua. Non si sa se quest'ispezione sarà poi portata a termine.

Qualche mese dopo, il 6 marzo 1999, l'Agenzia nazionale per l'ambiente avvia il monitoraggio dei laghetti sulla Domiziana con una strumentazione a raggi infrarossi. Il 24 dicembre 2001, finiscono finalmente sotto sequestro le ditte di Gaetano Cerci, l'anello di collegamento tra Casalesi e P2, che si occupano di smaltimento dei rifiuti. Il 14 gennaio 2002, scatta la maxi-retata contro il clan Schiavone: tra i 45 arresti, spunta il nome di Gaetano Vassallo, ex consigliere comunale di Cesa e imprenditore ecomafioso. Qualche tempo dopo, si pentirà. Ma, prima di allora, continuerà a gestire discariche e a fare soldi sulla pelle della gente.

Il 4 gennaio 2006, viene arrestato Cipriano Chianese, boss dell'ecomafia casertana. Il suo nome era spuntato, per la prima volta, nell'inchiesta Adelphi di tredici anni prima. Anche Schiavone, in occasione dell'audizione davanti alla commissione parlamentare del 1997, lo aveva indicato come il ministro dell'Ambiente dei Casalesi. «Era Chianese il boss dei boss in quel settore – dice a verbale –. Cerci era alle dipendenze di Chianese e raccoglieva i soldi; nella zona di influenza del clan dei Casalesi, dirigeva il reparto immondizia per conto del clan».

Uno degli ultimi atti risale al 5 febbraio 2008 quando, nell'inchiesta "Eco boss", vengono sequestrate aziende attive nel settore dei rifiuti e terreni a destinazione agricola dove per anni è stato seppellito materiale proveniente dal nord Italia, soprattutto dalla Lombardia. L'indagine si basa su alcune intercettazioni risalenti a un decennio prima e su rivelazioni del pentito Domenico Bidognetti, cugino del boss Francesco Bidognetti. L'uomo che ha inventato la Terra dei veleni.

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