Spargevano rifiuti tossici come compost nelle campagne, condannati per disastro ambientale

Pellini, l’Appello aumenta condanne sul filo della prescrizione: «Disastro»

Accusati di aver sparso rifiuti tossici come compost nella campagne condannati in secondo grado per disastro ambientale aggravato. Intanto la Regione sospende l’ampliamento delle attività del gruppo ad Acerra. Il vescovo Di Donna: «Sentenza incompleta, non indica gli industriali committenti del traffico di rifiuti tossici»
29 gennaio 2015 - Luca Marconi e Fabrizio Geremicca
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

NAPOLI - La condanna in Appello dei fratelli Pellini a 7 anni di reclusione per disastro ambientale al processo scaturito dall’inchiesta “Carosello-Ultimo atto” arriva sul filo della prescrizione, una vittoria per i comitati di Acerra che temevano proprio l’allungamento dei tempi del processo.

Il dispositivo

La IV sezione penale di Corte d’Appello di Napoli (presidente Giacobini) ha condannato a 7 anni di reclusione Giovanni, Cuono e Salvatore Pellini, già riconosciuti colpevoli di traffico illecito di rifiuti in primo grado (sei anni nel primo giudizio, 4 al fratello carabiniere Salvatore) per il reato di disastro ambientale aggravato, accusa quest’ultima che invece nel primo giudizio era caduta. Dichiara di non doversi procedere invece per l’associazione semplice per «avvenuta prescrizione»; dichiara di non doversi procedere nei confronti di Giuseppe Buttone, referente dell’omonimo clan di Marcianise e collaboratore di giustizia, in primo grado condannato a 4 anni e 6 mesi; e assolve Vincenzo Lubrano Lobianco, titolare di una cava-discarica di Bacoli, Fulvio Isè e i carabinieri Vincenzo Addonisio e Giuseppe Curcio, comandante della locale stazione, perché «il fatto non sussiste», che erano stati invece condannati in primo grado a 4 anni e 3 anni e 6 mesi. In sostanza al processo scaturito dall’inchiesta «Carosello - Ultimo atto» cadono definitivamente le accuse inerenti all’associazione a delinquere o con l’aggravante del metodo mafioso e quelle sulle complicità anche in seno all’amministrazione comunale di Acerra, ma è il riconoscimento del disastro ambientale aggravato a condannare i Pellini. Lanciava un appello perché si facesse presto contro la prescrizione, ed oggi esulta per la sentenza Alessandro Cannavacciuolo, il nipote di uno dei pastori acerrani avvelenati dalla diossina: «Processo all’ecomafia, arriva una sentenza storica in memoria dei martiri per cancro di ieri oggi e domani». E l’avvocato di parte civile Domenico Paolella aggiunge: «Una sentenza importantissima, perché per la prima volta è riconosciuto il disastro ambientale aggravato. Si stabilisce un nesso tra il traffico illecito di rifiuti ed i danni all’ambiente. E con questa sentenza si allontana il rischio della prescrizione (per il traffico di rifuti, ndr) che sarebbe stata una beffa». Anche il vescovo di Acerra Antonio Di Donna ha parlato di «portata storica» ma anche di «sentenza incompleta, perché se per la prima volta viene riconosciuto un disastro ambientale per traffico di rifiuti tossici la sentenza non individua gli industriali che lo hanno commissionato».

Il primo grado

Due anni fa le condanne in primo grado. Gli imprenditori di Acerra erano accusati di avere smaltito illegalmente tonnellate di rifiuti tossici provenienti dal Nord nelle campagne dell’agro nolano e casertano e di essersi accordati con esponenti della pubblica amministrazione e con esponenti delle forze dell’ordine per aggirare controlli nonché con i clan di Marcianise per avvelenare, con scarti industriali non trattati, le terre dell’hinterland a Nord di Napoli, in particolare, Acerra, Giugliano e Qualiano, e l’area flegrea con Bacoli. Mercurio, cadmio, alluminio, rame, zinco, idrocarburi, oli minerali, solventi, diossine e amianto i veleni rilevati dall’Arpac e dai periti di fiducia del pm Maria Cristina Ribera nei siti posti sotto sequestro. Dopo sette anni e 102 udienze il tribunale di Napoli aveva condannato in primo grado a sei anni di reclusione Giovanni e Cuono Pellini e il terzo fratello carabiniere, Salvatore, ex maresciallo, a quattro anni, assieme ad altri ufficiali dell’Arma, assolti invece in secondo grado. Assolti già in primo grado 21 dei 28 imputati tra cui tecnici del Comune di Acerra e per i Pellini già cadeva l’aggravante del metodo mafioso con l’associazione camorristica. Duecentotrentuno gli anni di carcere complessivi richiesti dal pm Ribera - per Cuono, Giovanni e Salvatore Pellini 18 anni - quando l’inchiesta “Carosello-ultimo atto” aperta nel 2003 si era conclusa, nel 2006, col rinvio a giudizio di imprenditori, malavitosi, forze dell’ordine e funzionari pubblici coinvolti, in associazione (accusa caduta) nel giro milionario di smaltimenti illeciti di rifiuti nocivi.

La cava Lubrano di Baia

Secondo l’accusa, le società riconducibili ai Pellini (Pellini srl, Ecotrasporti srl, Ecoimballaggio Pellini, Decoindustria srl, Igemar srl) svolgevano attività di smaltimento e di intermediazione per grandi aziende che volevano sbarazzarsi dei propri scarti industriali. I flussi di rifiuti provenivano anche e principalmente dal Nord (come i fanghi di Porto Marghera) per raggiungere gli impianti Pellini di Acerra e qui i carichi subivano quello che in gergo viene chiamato “giro bolla”, la sostituzione dei codici Cer e il cambio di tipologia del rifiuto: da “pericolosi” venivano classificati “non pericolosi” e infine sversati nelle campagne come compost o nelle cave di Acerra, Bacoli, Giugliano e Qualiano. Nella cava Lubrano di Bacoli i rifiuti speciali che avrebbero dovuto essere indirizzati a discariche autorizzate venivano caratterizzati come semplici “terra e rocce”. Nell’aprile 2003 i carabinieri del Noe di Caserta si presentano presso la ditta Pellini e alla cava di Baia della Pozzolana Flegrea, ditta che possiede anche un’altra cava a Giugliano e anche lì scattano i controlli, tutti impianti finiti sotto sequestro. E Giuseppe Buttone, collaboratore di giustizia, spiega al pm Ribera il meccanismo del “giro bolla” con cui smaltire rifiuti speciali aprendo un nuovo scenario che coinvolge ditte di trasporto nell’interesse del clan Belforte di Marcianise. Cava Lubrano è in via Castello di Bacoli, nei pressi del famoso castello aragonese e dei bagni di Baia, ed è solo una delle famose cave dove sono stati scaricati rifiuti tossici per le quali Fibe e Regione avevano anzi pronto un piano di «recupero» che ne perpetuava l’uso con lo smaltimento del famoso «Fos», frazione organica stabilizzata. Nella fattispecie a Bacoli ci finiscono gli scarti di metallurgia della società Nuova Esa di Marcon in provincia di Venezia, ha accertato il Tribunale di Venezia con sentenza del 7 febbraio 2008. E sempre a Bacoli, ancora, è riscontrata «la presenza di 190mila tonnellate di rifiuti ospedalieri in parte radioattivi» mescolati a milioni di tonnellate di materiale di risulta. A Lubrano è stato cancellato in secondo grado ogni addebito con assoluzione. La sentenza è stata anticipata nell’ottobre scorso da una interrogazione dei senatori del 5Stelle che sollecita ai ministri competenti una bonifica di Cava Lubrano o almeno un carottaggio del sottosuolo con analisi delle acque di falda: «La società Pozzolana Flegrea», scrivono l’onorevole Nugnes e altri, «ha presentato un progetto turistico di recupero ambientale della cava ma non risulta che sia stato presentato il piano di indagine preliminare obbligatorio e il piano di caratterizzazione e bonifica, risulta invece che il progetto turistico abbia ottenuto parere negativo dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Napoli e provincia e dalla Direzione regionale per i beni culturali».

La rete di coperture

La requisitoria della Ribera era principalmente sulle coperture di cui i Pellini avrebbero goduto. Oltre alla presenza nella caserma dell’Arma di Acerra del fratello carabiniere Salvatore Pellini, forte collaborazione sarebbe arrivata dagli altri militari rinviati a giudizio, era l’accusa caduta in secondo grado per gli altri. Agli inizi del 2000 la Procura di Nola apre un’indagine sull’inquinamento dei terreni agricoli in località Lenza-Schiavone e proprio uno dei militari a processo viene chiamato a svolgere funzioni di polizia giudiziaria. Per l’accusa aveva indicato ai tecnici dell’Arpac i punti dove effettuare campionamenti poi risultati a posto coi valori soglia di diossine furani e pcb e lo stesso soggetto, sempre secondo l’accusa, aveva imbastito interrogatori fittizi degli imprenditori Pellini; ed ancora, restavano senza seguito le centinaia di denunce di contadini allarmati dagli sversamenti incontrollati, anzi a taluni è capitato di ricevere minacce subito dopo le denunce. Erano implicati i funzionari comunali invece per le autorizzazioni irregolari degli impianti dei Pellini.

I tossici sparsi come compost in campagne mai più bonificate

Dopo la «declassificazione» dei rifiuti speciali e tossico-nocivi industriali trasformati virtualmente in prodotti non nocivi avveniva lo spargimento nei terreni sotto forma di pseudo compost. Secondo l’accusa negli impianti dei Pellini vennero prodotte e smaltite 53mila tonnellate di rifiuto tossico spacciato per fertilizzante e utilizzato dai contadini dell’agro acerrano. Ma sono stati individuati «solo alcuni» dei terreni dove questo compost fu effettivamente sversato. Solo tra il 2003 ed il 2006 sarebbero state smaltite con tale sistema più di un milione di tonnellate di rifiuti industriali provenienti prevalentemente dalla Toscana e dal Veneto. Mercurio, cadmio, alluminio, rame, zinco, idrocarburi, oli minerali, solventi, diossine avrebbero dunque contaminato fertili aree agricole. Neppure una delle tante attese bonifiche è stata ad oggi realizzata. E il pm Ribera nella conclusione della sua requisitoria fu inequivocabile: «Alcune delle società coinvolte nell’inchiesta risultano tuttora operative e il sequestro ha riguardato soltanto una parte degli impianti usati per gli sversamenti. Il traffico di rifiuti purtroppo è ancora in corso».

L’ampliamento della nuova Atr e la Regione

Stop all’ampliamento di Atr, la nuova ditta dei Pellini? La Regione Campania nei mesi scorsi ha temporaneamente «sospeso» il progetto dell’azienda di smaltimento rifiuti Atr di Acerra che sempre ai Pellini è riconducibile, pronta a “trattare” circa 400 mila tonnellate annue di rifiuti tossici e industriali (la maggior parte dei quali provenienti da fuori regione) in località Pantano, dove già sorgono l’inceneritore A2A, la ex Montefibre e la centrale da combustione a biomasse Friel. In sede di Conferenza dei Servizi è stato «congelato» il procedimento autorizzativo per la mancanza di una Valutazione di Impatto Ambientale adeguata: quella presentata da Atr risale al 24 gennaio 2005, quando la società si proponeva di smaltire soltanto rifiuti ordinari. Ora l’azienda acerrana dovrà presentare una nuova Via sulla base della quale la Regione deciderà se rilasciare o meno l’Autorizzazione Integrata Ambientale. Il progetto è quindi solo rinviato, non bloccato. I comitati ambientalisti si dicono «non soddisfatti»: «La richiesta di Atr va definitivamente archiviata, non sospesa – dice Alessandro Cannavacciuolo –. Non si capisce quali siano le modalità con cui verranno stoccati i rifiuti e nella documentazione presentata dalla società manca un piano di caratterizzazione obbligatorio. Non solo: in data 7 gennaio 2014 abbiamo presentato denuncia alle autorità competenti per la presenza di rifiuti tossici interrati proprio nell’area dove dovrebbe aver luogo l’ampliamento». A preoccupare i comitati è il fatto che nella proprietà siano presenti gli imprenditori condannati anche in secondo grado per traffico illecito di scorie tossiche sul territorio acerrano. «Questa vicenda è assurda – conclude Cannavacciuolo – ci auguriamo che in Regione qualcuno abbia un sussulto di dignità e buon senso». In occasione della Conferenza dei servizi il vescovo Di Donna aveva sottolineato la «non opportunità dell’impianto» di trattamento di rifiuti speciali, condividendo «le preoccupazioni della popolazione di un territorio già martoriato dal punto di vista ambientale». Di Donna era già stato al fianco delle “mamme-coraggio” e del sindaco acerrani in occasione della protesta contro l’annunciato smaltimento - anche questo sospeso - delle balle di rifiuti impropriamente dette «eco» dell’emergenza del 2006 accatastate a Coda di Volpe (Eboli) nell’impianto di incenerimento della A2A sempre ad Acerra. All’indomani della sentenza Pellini il vescovo di Acerra ha parlato di «portata storica ma la sentenza è incompleta - ha detto - perché per la prima volta viene riconosciuto un disastro ambientale per un traffico di rifiuti tossici, ma la sentenza non individua gli industriali committenti». Mentre sulla questione Atr Di Donna ha aggiunto: «Vogliamo sapere se per Acerra c’è ancora speranza o qualcuno ha condannato questo popolo ad essere lo scarto del Paese, intanto, nella sostanziale inerzia istituzionale su bonifiche e screening sulla salute e mentre si scontrano negazionisti e allarmisti in Terra dei Fuochi troppa gente sta morendo».

L’Atr in Basilicata

L’Atr intanto già lavora in Basilicata. Il quotidiano lucano Basilicata24.it in un recente servizio ha titolato: «Valbasento, l’Arpab “pesca” nella Terra dei Fuochi» e nel pezzo di Giorgio Santoriello si legge: «Il primo ottobre con delibera 210 il direttore dell’Agenzia regionale per la protezione dell’Ambiente di Basilicata, Aldo Schiassi, assegna mediante cottimo fiduciario l’affidamento definitivo del servizio di manutenzione della rete piezometrica nel sito d’interesse nazionale della Val Basento alla ditta Atr Srl di Acerra, Napoli. L’importo dell’affidamento è di 65mila euro Iva esclusa. Chi è l’azienda a cui si è rivolto Schiassi. La A.t.r. di Acerra inizia le attività il 21 marzo 2007. Ma il suo atto costitutivo è datato 1999. Essa, infatti, nasce come Ecotrasporti Srl. La stessa che è finita nell’inchiesta “Carosello-Ultimo Atto”. Secondo l’accusa le società riconducibili ai Pellini (Pellini Srl, Ecotrasporti, Ecoimballaggio Pellini, Decoindustria, Igemar) avrebbero svolto attività di smaltimento e di intermediazione per le grandi aziende che volevano sbarazzarsi dei propri scarti industriali... La Ecotrasporti è stata ritenuta dai magistrati il fulcro di una rete criminale... Ma veniamo alla Basilicata, al direttore Arpab, il campano Schiassi» ha affidato «proprio» ad Atr l’appalto quando, ancora, «la questione Atr è stata oggetto anche di un’interrogazione parlamentare nel settembre 2013 quando gli onorevoli Manfredi, Formisano e Scotto chiesero ai Ministeri dell’Interno, Ambiente e Sviluppo se la ditta Atr, che nel frattempo recepiva un canone d’affitto per i terreni usati da un’altra ditta aggiudicatrice dell’appalto di raccolta degli Rsu ad Acerra, fosse in possesso dei requisiti e delle idonee certificazioni antimafia» considerate soprattutto le condanne dei Pellini nel marzo 2013 per traffico e smaltimento illecito di rifiuti. «Di tutto ciò il direttore Schiassi era al corrente? Sembrerebbe di no altrimenti in attesa che la giustizia completasse il suo iter in ordine all’inchiesta per gli sversamenti illeciti ad Acerra, Bacoli, Giugliano avrebbe dovuto affidare il servizio ad altra azienda. Al presidente (della Regione Basilicata, ndr) Pittella l’ardua sentenza». Alla medesima testata il direttore Schiassi ha replicato che «le procedure di affido sono dovute alla presenza di un albo fornitori non conforme alle nuove regole di gara pubblica e all’urgenza che imponeva di individuare il contraente nel più breve tempo possibile al fine di evitare che la Regione fosse inadempiente... la procedura è scaturita anche da un confronto con la Regione che si opponeva ad un bando aperto» e la «verifica dei requisiti generali in capo ai soggetti muniti di rappresentanza legale dell’Atr presso il casellario giudiziale si è conclusa favorevolmente evidenziata l’insussistenza di elementi ostativi all’affidamento».

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