Munnezza lombarda

Solo in un angolo del casertano sono state seppellite ottomila tonnellate di rifiuti lombardi. Un giro d'affari di circa 400mila euro. È solo uno dei tanti. Frutto del patto criminale tra camorristi, imprenditori e politici
29 febbraio 2008 - Peppe Ruggiero

Nunzio Perrella e Domenico Bidognetti. Due boss di camorra. Due pentiti eccellenti. Sono loro che in tempi diversi hanno svelato la "consorteria mafiosa" nell'affare rifiuti, il patto tra camorristi, imprenditori. E politici. Nunzio Perrella, agli inizi degli anni 90, fu il primo pentito camorrista a parlare con i magistrati di rapporto tra rifiuti e criminalità organizzata. Per la prima volta nella "rifiuti connection", le mani d'oro sulla munnezza diventano materiale per la magistratura e per l'antimafia.

Parole e carte che contano. Perrella non è un personaggio qualunque. È uno che conta. È il fratello del boss Mario Perrella, clan storico che a Napoli domina nel rione Traiano. Un personaggio che della camorra, non solo del suo clan, conosce vita morte e miracoli. Conosce anche gli interessi dei nemici.

Grazie alle sue rivelazioni nel 1992 si apriva il processo Adelphi, condotto dai pubblici ministeri Giuseppe Narducci, Aldo Policastro e Giovanni Melillo. La prima inchiesta in Italia che ha svelato il modus criminale della "Rifiuti s.p.a". A distanza di sedici anni, lo scorso 25 febbraio 2008, le rivelazione del collaboratore di giustizia, Domenico Bidognetti, cugino del boss dei Casalesi Francesco Bidognetti, alias "cicciotto è mezzanotte", porta all'arresto di un boss emergente nella camorra casertana, Giorgio Marano. Per la prima volta un boss di camorra, operante all'interno del clan dei casalesi viene arrestato per i reati di traffico illecito organizzato di rifiuti e di truffa aggravata ai danni di enti pubblici.

L'inchiesta, denominata "Ecoboss", è stata coordinata dai pm Raffaele Falcone e Maria Cristina Ribera, della procura di Napoli. Un'inchiesta importante che conferma l'ipotesi investigativa sostenuta da Legambiente: c'è la presenza di un esponente di primo piano della camorra "vincente" nel settore dello smaltimento rifiuti, che gestisce l'affare dall'inizio alla fine. O meglio, per dirla con le parole di un indagato, «dalla culla alla tomba». Giorgio Marano è un boss di prima categoria, condannato in primo grado all'ergastolo nel processo "Spartacus", il mega processo contro il clan dei casalesi. Di lui così parla il pentito Bidognetti: «È un ragazzo di poche parole, ma di grande potenza, tuttora affiliato ai clan, in quanto chi è affiliato, o vi resta per la vita o esce dal clan da morto». La sua potenza è cresciuta, approfittando dell'uscita di scena di vecchi boss.

Controlla l'intera zona, quella che prima era sotto l'egida di Biondino e di De Simone. È lui a comandare, a impartire le direttive e a gestire gli affari della "munnezza". In cinque anni sono stati "tombati" nei terreni del casertano, tra Frignano e Villa Literno, circa ottomila tonnellate di rifiuti provenienti dalle aziende della Lombardia, per un giro d'affari di circa 400mila euro. Nelle oltre 100 pagine dell'ordinanza del gip si racconta la storia del ciclo dei rifiuti made in Casalesi. «Ma quali droga ed estorsioni, la miniera d'oro sono i rifiuti», così il pentito Bidognetti riassume davanti ai giudici l'affare colossale. Il tutto avveniva sempre nello stesso modo. Quello raccontato nelle tante inchieste portate avanti in tutta Italia dalle diverse procure. Un impianto di compostaggio a Trentola Ducenta, sempre nel casertano, riconducibile ai fratelli Roma, già indagati, che avrebbe dovuto "lavorare i rifiuti e trasformarli in compost". Ma i rifiuti provenienti dal nord, tonnellate di porcherie di ogni tipo altamente pericolose, venivano trattate solo fittiziamente. Anzi non entravano per nulla nell'impianto. I fanghi tossici, crudi e nudi, venivano scaricati nei terreni, preventivamente affittati su ordine del boss.

E pagati anche profumatamente. Dai due ai tre milioni di vecchie lire a ciascuno dei proprietari dei fondi agricoli. In un interrogatorio Domenico Bidognetti rileva i dettagli «avevamo il controllo totale, tutto gestito dal clan. Cento euro al chilo. Ogni camion porta trentamila chili, trenta tonnellate. Ogni giorno sette viaggi, per cinque giorni alla settimana». Il sabato e la domenica anche per i boss il riposo è sacro. E con un guadagno elevato. La premiata ditta dei Casalesi entrava sul mercato con un prezzo concorrenziale, 130 lire al chilo per smaltire fanghi di conceria. Meno della metà del prezzo necessario per smaltirli in modo legale. Una manna per le industrie del nord.

Emblematica la dichiarazione del pm Maria Cristina Ribera che a proposito dello sversamento nei terreni agricoli, ha affermato che l'inchiesta serve a sfatare il "falso mito" di una camorra che non danneggia il proprio territorio, ricordando che i luoghi trasformati in discariche altamente inquinanti si trovano proprio nel cuore della zona controllata dalle cosche. Come sono lontani i tempi del boss Schiavone, alias Sandokan che già nel lontano 1988 aveva messo in pratica la sindrome "nimby". In un colloquio, Carmine Schiavone, amministratore delegato del clan dei Casalesi gli illustrava il nuovo business miliardario «basta che mettiamo a disposizione le cave che abbiamo per gli appalti della superstrada Nola-Villa Literno. Quelli li riempiono di rifiuti e noi ci riempiamo di soldi». Ma Sandokan non ne vuole sapere: «Cosa vogliamo fare avvelenare Casal dei Principe? No, non se fa niente». Altri tempi. Altri boss. Stessa mondezza.

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