I reperti archeologici sommersi dai rifiuti

Il caso di Pianura. E il comune di Napoli deve dare 18 milioni di euro a chi ha gestito la discarica dei veleni
25 novembre 2014 - Amalia De Simone
Fonte: Corriere della Sera

Sembra una pineta, anche se lì dentro non si respira bene: pochi passi e la gola comincia a bruciare. Quella terra infatti per decenni ha inghiottito veleni di ogni tipo provenienti prevalentemente dal nord Italia. Siamo a Pianura, quartiere napoletano che ospita una delle discariche più grandi d’Italia. Nel bel mezzo dell’area delle discariche, su quella che una volta era la strada una volta utilizzata dai camion carichi di veleni nascosti tra i rovi e i rifiuti ci sono reperti archeologici bellissimi. Sono strutture abbandonate a se stesse, depredate e in parte distrutte.

«Sono stati i camion che passavano di qua per essere meno visibili – spiega Vincenzo Russo dell’associazione Rinascita dei Campi Flegrei – Una volta questa era una strada e i camion passavano distruggendo queste meraviglie. Nel nome del business dei rifiuti tossici si è fatto tutto e ora al danno arriva anche la beffa perché le società che hanno gestito queste discariche, facendo arrivare i veleni che ci stanno uccidendo, hanno chiesto altri soldi al Comune di Napoli per quella gestione dei rifiuti, spettanze che il Consiglio di Stato ha riconosciuto come dovute con una sentenza».

In effetti i gestori della discarica Di.fra.bi., poi trasformata in Elektrica, sembrano cadere sempre in piedi. Coinvolti in molte indagini non hanno subito quasi nessuna conseguenza giudiziaria. Per una delle ultime, il pm ha dovuto chiedere l’archiviazione in quanto i periti non sono riusciti a dimostrare il nesso causale tra lo sversamento dei rifiuti tossici e l’insorgere costante e drammatico di tumori e leucemie nella zona. I cittadini si sono opposti all’archiviazione ma la questione è ancora pendente. Questa inchiesta per disastro ambientale ed epidemia colposa ha prodotto però una serie di atti utili per capire esattamente chi ha sversato e cosa è stato sversato in quella discarica e soprattutto le reali ricadute ambientali.

I carabinieri del Noe come mostriamo nella videoinchiesta, hanno sentito a verbale alcune persone che avevano lavorato nella Di.fra.bi. che hanno rivelato che in quell’area venivano rilasciati veleni industriali di ogni genere e a volte sepolti interi rimorchi di camion pieni di sostanze tossiche e hanno spiegato che quella terra contiene scorie non trattate dell’Acna di Cengio. Le dichiarazioni vengono confermate sia dalle analisi dell’Arpac che dall’elenco di ditte e sostanze allegato agli atti dell’inchiesta.

Sul disastro ambientale le parole più allarmanti arrivano dal provvedimento del gip Alessandro Buccino Grimaldi che dopo aver esaminato le analisi dei consulenti tecnici rileva intanto che nella discarica Di.Fra.Bi. sono presenti 30 milioni di metri cubi di rifiuti inquinanti e che dal cratere Senga fino alla fascia costiera di Pozzuoli non si evidenzia solo una criticità ma un reale rischio per i cittadini connesso alla dispersione incontrollata del biogas e del percolato. Addirittura non fu possibile all’epoca delle indagini prolungare alcuni rilievi perché i parametri delle sostanze prese in esame sono risultati disomogenei e diversamente alterati fino a mille volte superiori ai valori limite consentiti. In alcuni la quantità di ossigeno e degli idrocarburi è risultata addirittura non compatibile con la vita umana.

Della Di.fra.bi. parla anche il verbale recentemente desecretato del pentito del clan dei casalesi Carmine Schiavone, difronte alla commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti e il gruppi ispettivi antimafia (Gia) si sono più volte occupati di questa azienda che comunque negli anni in un modo o nell’altro (creando nuove società) ha sempre continuato a lavorare nel settore dei rifiuti. Il Gia a conclusione delle sue indagini scriveva nel 2004 di ritenere che per la Di.fra.bi. e per la Elektrica sussistesse il pericolo di infiltrazioni camorristiche. Ma tutto questo è ininfluente per la giustizia amministrativa che ha fatto il suo corso e ha ritenuto che la Di.fra.bi. fosse creditrice del Comune di Napoli di parecchi soldi: infatti alla fine degli anni ottanta l’azienda chiese un adeguamento del prezzo per il conferimento in discarica dei rifiuti ma il Comune non adeguò il prezzo e la Prefettura di Napoli decise di nominare un commissario straordinario per stabilire quanto fosse dovuto alla Di.fra.bi./Elektrica e di fatto la tariffa lievitò. Negli anni novanta il Comune fece ricorso al Tar contro questo aumento ma il tribunale amministrativo diede ragione alla Di.Fra.Bi. Nel decennio successivo il ricorso al Consiglio di Stato che stabilì in maniera definitiva il pagamento dovuto: 18 milioni di euro più interessi e spese legali.

«Possibile che dobbiamo premiare chi ha inquinato la nostra terra? - dice Vincenzo Russo - Qui è in atto un biocidio. Io ho cominciato a combattere perché mia figlia si è ammalata e non mi fermo più. Ora che ho scoperto che ci sono beni di interesse archeologico sulla discarica voglio proporre al sindaco di opporsi al pagamento facendo presente la legge che vieta le discariche in aree archeologiche». Il Comune di Napoli intanto lunedì ha deciso di bloccare il pagamento previsto a favore della Ubi Factor, società che ha acquisito il credito della Elektrica/Di.fra.bi dopo un’accesa seduta del consiglio comunale. Sindaco e vicesindaco hanno annunciato l’orientamento di sospendere la decisione sul pagamento perché nonostante ritengano l’atto del riconoscimento dei crediti formalmente corretti, il danno ambientale è stato tale che il pagamento degli oltre 18 milioni di euro agli ex gestori della discarica di Pianura sia ingiusto.

«Il problema è che c’è comunque una sentenza del consiglio di Stato. Quei soldi dovrebbero essere utilizzati per le bonifiche. - aggiunge Vincenzo - La legge non sempre assomiglia alla giustizia. E poi qui ancora si sversano rifiuti quando la discarica sarebbe chiusa». Vincenzo ci mostra che nell’area ci sono una serie di cumuli nuovi e altri che aveva segnalato ad agosto. Non facciamo in tempo ad accendere la telecamera che un camion con il rimorchio vuoto esce dalla strada della discarica. Il volto di Vincenzo diventa rosso dalla rabbia: «Hai visto? Hai ripreso? Forse è solo una coincidenza.. ma cosa ci faceva qui un camion come quello?»

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