Spazzatura fuori orario? Non qui: i residenti chiudono a chiave i cassonetti
A Vico Guardia niente guardie: «Mai vista una»
Basoli rifatti in primavera e di nuovo sconnessi
Basoli rifatti in primavera e di nuovo sconnessi
12 gennaio 2014
Fonte: Il Mattino
Rispetto a Porta Nolana, il bùvero conserva il più prezioso cuore napulegno, napoletano e sanguigno. Di migranti ce ne sono tanti. Ma in questo serpente mobile di bancarelle e botteghe la maggioranza dei clienti resta ancora locale. Legridanostrane dei pescivendoli ti fanno capire che non sei a Khan al-Khalili, il suq più mediterraneamente caotico del Cairo.
Ma Porta Capuana e dintorni restano un crocevia multietnico. I più disperati si radunano nella piazza accanto all'expretura, abbandonata dieci anni fa erimastalì, vuota, ennesimo monumento allo spreco, allascai'èra2a. L'aria che si respira è di dismissione generalizzata, trasformata in una dimissione delle istituzioni. «Lo vedete quello là?» indica Nicola Caruso che ha il negozio di coltelli all'angolo di via Cesare Rosaroll: «Guardate, sta urinando davanti al portone della Pretura. Lo fanno per tutto il giorno. È un cesso. Hai voglia a protestare. Nessuno ti ascolta. E il comando dei vigili è là» indica il primo piano di un altro edificio. «Quando scoppiano risse tra questi ubriachi di mezzo mondo, sapete che fanno?». Melo dica. «Sirintanano dentro e chiudono pure le finestre». Non è intolleranza razziale. «Ci sono anche un sacco di fetenti italiani» taglia corto il pacifico armaiolo. Lo conferma Monty, un indiano di 27 anni (da sei m Italia) che gestisce un International Phone Center, proprio accanto a una delle torri aragonesi. Le scale che scendono verso Porta Capuana sono sbarrate da unarete rossa: «L'hanno messaperimpedire agli ubriachi di andare a pisciare. La puzza era diventata insopportabile».
Tra questi disperati senza lavoro, l'idraulica umana è una scienza che tiene le sue urgenze. I disperati non hanno spiccioli da spendere in un bar per ordinare il caffè che ti consente di usufruire della toilette. «Chi li fa entrare» puntualizza seccato un barista che preferisce l'anonimato «lo fa a proprio rischio e pericolo. Perché entrano e si drogano». Sono tutti intossicati qui: di eroina, di smog, di disoccupazione e di rabbia. Tutti contro tutti, all'ombra delle mura della atta quattrocentesca, quella celebrata dall'anonima mano che ha dipinto la Tavola Strozzi. Dasecoli la fortezza Napoli è stata espugnata. E le torri che punteggiano via Rosaroll verso Foria sono in disarmo. Su quella che fiancheggia il Lanificio è cresciuta una picco la giungla di ortiche e rovi. Ci accedi grazie alla cortesia di un garagista. Percorri unpassetto segreto e diventi una vedetta con vista su archi gonfi di terra sporca e bidet buttati via. Una discarica tra i merli. In un'altra torre, privata, al primo piano esercita una prostituta araba, neisotterranei funziona un locale frequentato da ghanesi. Musica alta, alle pareti bandiere americane, britanniche, della Ferrari e una sciarpa giamaicana.
È vico Santa Caterina a Formiello, uno dei tanti valichi che ti riportano a via Carbonara. Una sfilata di bassi,monocamera con vista e occhiolino delle zoccole maghrébine e africane, truccate e ossigenate. Sono la variante napoletana e sfigata delle ragazze in vetrina diAmsterdam eAmburgo. Siamo al di là del bene e del male, chi ti invita ha già consumato in queste quattro squallide mura i migliori anni della vita e non li riavranno più indietro. Sesso rapido, una mandata di euro. Se non sei interessato smamma. L'umanità di questi vicoli, dove non entra ne sole, ne mare, dove alla Carmela di Sergio Bruni cadrebbe il cuore nelle calzette, ha pietà di chiunque e comunque, pietà antica che discende dal do lore che si divide come il pane e sopra ci spalmi la salsa chevuoi, magari curry, piri-pirioharissa. È un'umanità affamata di vita, ma anche di cibo. Esposto ovunque, prodotto m minuscole rosticceria che mettono il forno quasi m strada. Panzarotti, arancini e paste cresciute. C'èdi tutto, basta un po' di coraggio e un pernacchio al dietologo per lanciarsi. Però, a vico Guardia, appena rientri verso il bùvero, non d sono guardie. «E vorrei proprio vederlo un vigile» sbotta Antonio Liccardi, una gamba in meno euna carrozzinamotorizzataper disabili. «Guardate quei bàsoli, provate apassarci ancheapiedi.Tutti sconnessi. Li hanno aggiustati in primavera e sono di nuovo scassati. Ma come fatica questa gente? Là sopra, prima o poi, io o qualche signora si fa male».
Occorre guardare bene dove si mettono i piedi. Anche se, proseguendo lungo il vicolo dissestato, di monnezza non se ne vede. È quasi una rarità. Una ragione e' è ed è una forma spontanea di cittadinanza attiva, n vicolo siautoregolamenta e mette nell'angolo gli sporcacdoni. Piazzetta Pergola all'Avvocata, uno slargo con un'aiuola stretta stretta, pulita, espone una sfilza di cassonetti dell'Asia con tanto di catene e catenaccio. Cos'è, la monnezza in cassaforte? «Macché» svela l'arcano Elia Scuotto, unpiccoletto che gestisce il vicino circolo dei tifosi azzurri «li abbiamo messi noi. E io ho le chiavi», Per fame? «Apro i cassonetti alle otto di sera, predse, quando per legge si possono sversare i sacchetti. E i cassonetti rimangono aperti fino a quando il camion non viene a svuotarli. Poi rimetto le catene. E chi s'è visto s'è visto». Lui racconta l'alzata d'ingegno e tutt'attorno il capannello improvviso di gente del vicolo approva e aggiunge particolari. C'erano greggi di topi, da quando sono a lavoro i custodi della monnezza non se ne vede più uno. «E tutti sono contenti» sigilla Scuotto. Però, poi, basta arrivare davanti al teatro San Ferdinando, quello di Eduardo. I cassonetti sono spalancati e fuori sono depositati rifiuti ingombranti e persinò un materasso. Qui la gente è previdente, sa che «adda passa 'a nuttata», e allora, scusatemi, è meglio aspettare l'albabelli comodi. Favorite.
Ma Porta Capuana e dintorni restano un crocevia multietnico. I più disperati si radunano nella piazza accanto all'expretura, abbandonata dieci anni fa erimastalì, vuota, ennesimo monumento allo spreco, allascai'èra2a. L'aria che si respira è di dismissione generalizzata, trasformata in una dimissione delle istituzioni. «Lo vedete quello là?» indica Nicola Caruso che ha il negozio di coltelli all'angolo di via Cesare Rosaroll: «Guardate, sta urinando davanti al portone della Pretura. Lo fanno per tutto il giorno. È un cesso. Hai voglia a protestare. Nessuno ti ascolta. E il comando dei vigili è là» indica il primo piano di un altro edificio. «Quando scoppiano risse tra questi ubriachi di mezzo mondo, sapete che fanno?». Melo dica. «Sirintanano dentro e chiudono pure le finestre». Non è intolleranza razziale. «Ci sono anche un sacco di fetenti italiani» taglia corto il pacifico armaiolo. Lo conferma Monty, un indiano di 27 anni (da sei m Italia) che gestisce un International Phone Center, proprio accanto a una delle torri aragonesi. Le scale che scendono verso Porta Capuana sono sbarrate da unarete rossa: «L'hanno messaperimpedire agli ubriachi di andare a pisciare. La puzza era diventata insopportabile».
Tra questi disperati senza lavoro, l'idraulica umana è una scienza che tiene le sue urgenze. I disperati non hanno spiccioli da spendere in un bar per ordinare il caffè che ti consente di usufruire della toilette. «Chi li fa entrare» puntualizza seccato un barista che preferisce l'anonimato «lo fa a proprio rischio e pericolo. Perché entrano e si drogano». Sono tutti intossicati qui: di eroina, di smog, di disoccupazione e di rabbia. Tutti contro tutti, all'ombra delle mura della atta quattrocentesca, quella celebrata dall'anonima mano che ha dipinto la Tavola Strozzi. Dasecoli la fortezza Napoli è stata espugnata. E le torri che punteggiano via Rosaroll verso Foria sono in disarmo. Su quella che fiancheggia il Lanificio è cresciuta una picco la giungla di ortiche e rovi. Ci accedi grazie alla cortesia di un garagista. Percorri unpassetto segreto e diventi una vedetta con vista su archi gonfi di terra sporca e bidet buttati via. Una discarica tra i merli. In un'altra torre, privata, al primo piano esercita una prostituta araba, neisotterranei funziona un locale frequentato da ghanesi. Musica alta, alle pareti bandiere americane, britanniche, della Ferrari e una sciarpa giamaicana.
È vico Santa Caterina a Formiello, uno dei tanti valichi che ti riportano a via Carbonara. Una sfilata di bassi,monocamera con vista e occhiolino delle zoccole maghrébine e africane, truccate e ossigenate. Sono la variante napoletana e sfigata delle ragazze in vetrina diAmsterdam eAmburgo. Siamo al di là del bene e del male, chi ti invita ha già consumato in queste quattro squallide mura i migliori anni della vita e non li riavranno più indietro. Sesso rapido, una mandata di euro. Se non sei interessato smamma. L'umanità di questi vicoli, dove non entra ne sole, ne mare, dove alla Carmela di Sergio Bruni cadrebbe il cuore nelle calzette, ha pietà di chiunque e comunque, pietà antica che discende dal do lore che si divide come il pane e sopra ci spalmi la salsa chevuoi, magari curry, piri-pirioharissa. È un'umanità affamata di vita, ma anche di cibo. Esposto ovunque, prodotto m minuscole rosticceria che mettono il forno quasi m strada. Panzarotti, arancini e paste cresciute. C'èdi tutto, basta un po' di coraggio e un pernacchio al dietologo per lanciarsi. Però, a vico Guardia, appena rientri verso il bùvero, non d sono guardie. «E vorrei proprio vederlo un vigile» sbotta Antonio Liccardi, una gamba in meno euna carrozzinamotorizzataper disabili. «Guardate quei bàsoli, provate apassarci ancheapiedi.Tutti sconnessi. Li hanno aggiustati in primavera e sono di nuovo scassati. Ma come fatica questa gente? Là sopra, prima o poi, io o qualche signora si fa male».
Occorre guardare bene dove si mettono i piedi. Anche se, proseguendo lungo il vicolo dissestato, di monnezza non se ne vede. È quasi una rarità. Una ragione e' è ed è una forma spontanea di cittadinanza attiva, n vicolo siautoregolamenta e mette nell'angolo gli sporcacdoni. Piazzetta Pergola all'Avvocata, uno slargo con un'aiuola stretta stretta, pulita, espone una sfilza di cassonetti dell'Asia con tanto di catene e catenaccio. Cos'è, la monnezza in cassaforte? «Macché» svela l'arcano Elia Scuotto, unpiccoletto che gestisce il vicino circolo dei tifosi azzurri «li abbiamo messi noi. E io ho le chiavi», Per fame? «Apro i cassonetti alle otto di sera, predse, quando per legge si possono sversare i sacchetti. E i cassonetti rimangono aperti fino a quando il camion non viene a svuotarli. Poi rimetto le catene. E chi s'è visto s'è visto». Lui racconta l'alzata d'ingegno e tutt'attorno il capannello improvviso di gente del vicolo approva e aggiunge particolari. C'erano greggi di topi, da quando sono a lavoro i custodi della monnezza non se ne vede più uno. «E tutti sono contenti» sigilla Scuotto. Però, poi, basta arrivare davanti al teatro San Ferdinando, quello di Eduardo. I cassonetti sono spalancati e fuori sono depositati rifiuti ingombranti e persinò un materasso. Qui la gente è previdente, sa che «adda passa 'a nuttata», e allora, scusatemi, è meglio aspettare l'albabelli comodi. Favorite.