Terra dei fuochi se la piazza vince sulla democrazia
Qualcosa non toma sulla Terra dei fuochi. Si ha l'impressione che lo Stato si sia smarrito nei meandri della Rete, come un ragno che non sa più tessere il suo filo. E certi sintomi sono eloquenti. A cominciare dalla protesta di uno sparuto gruppo di manifestanti esasperati, una dozzina di persone con cartelli e fiaccole, che ieri sera si è radunato a pò ca distanza da Villa Rosebery, dove il presidente Giorgio Napolitano sta passando alcuni giorni di riposo e da dove ha scritto tré giorni fa la lettera a don Maurizio Patriciello, il sacerdote simbolo della battaglia contro la «morte da rifiuti» nella provincia a nord di Napoli. La protesta di ieri è apparentemente minima negli esiti e ri sponde a una strategia arcinota di un'area politica e sociale per la quale ogni occasione è buona per ritagliarsi un ruolo anti-istituzionale. Ma è anche un segno di tempi e di derive inquietanti. Ormai è scattato un corto circuito tra una parte dei media, che non perde occasione di attaccare il Quirinale, e le stesse istituzioni che si dimostrano impotenti e in forte ritardo su temi che mettono a rischio la salute di centinaia di migliaia di persone. La lettera di Napolitano a Don Patriciello rispondeva alla volontà di arginare una sfida montante che arriva dalla Rete e in varie occasioni dalla piazza e che si teme possa accendere una conflittualità cronica come quella che da anni incendia il cammino della Tav in Piemonte. Il Presidente s'è scelto come interlocutore un simbolo, che può essere condi viso e che può perciò contenere gli eccessi della piazza. Almeno così si spera. Ma, il giorno dopo, Napolitano s'è trovato scavalcato dai vescovi che, per non restare indietro, hanno fatto una fuga in avanti. E in una lettera firmata anche dal cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, hanno denunciato ancora una volta il disastro ambientale, rilanciando l'allarme per la crescita dei tumori, che, dicono testualmente, «secondo alcuni sono aumentati».
Qui non si tratta di stabilire o meno il legame tra tumori e inquinamento, che è indiscutibile come dato di scienza. Se poi questo legame, nella Terra dei fuochi, si sia tradotto o meno in un dato concreto e inoppugnabile è paro la che spetterà alla medicina, che purtroppo ha i suoi strumenti, non sempre adeguati alla gravita dei casi che osserva, e i suoi tempi. Il punto però è un altro. E riguarda la debolezza della democrazia, che scopre di avere una coda di paglia lunga quanto una discarica. Ð decreto antiroghi che il governo ha varato nelle scorse settimane ha già bisogno di correttivi. I dubbi sulla sua efficacia sono tanti, se è vero che, dopo i primi due arresti spot del primo giorno, null'altro è accaduto. E intanto i roghi continuano. La gente che abita in quei paesi martoriati chie de fata e non parole. Città di oltre centomila abitanti, comeGiugliano, sono commissariate, perché il consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni camorristiche. Mal'arrivo dei «prefetti», cioèdello Stato, non sembra aver portato alcun miglioramento. Basta fare un giro per le strade e le campagne per imbattersi in cumuli puzzolenti di rifiuti in gran parte bruciati che appestano l'aria ancora pergiomi dopo il loro spegnimento. In questo clima la politica e le istituzioni sembrano troppo preoccupate, ciascuna per la sua parte, di proteggersi dal rischio di diventare il capro espiatorio di una protesta intemettiana o di piazza. Il che è comprensibile. Ma non sufficiente a scongiurare questo rischio, come dimostra la protesta di ieri. E soprattutto irrilevante rispetto alla gravita del problema. Che resta Û e non può essere risolto ne dai moniti delle istituzioni ne dalle arringhe dei capipopolo e dei preti di campagna. È richiede invece buona amministrazione, coordinamento tra le istituzioni regionali e locali chiamate a prendere decisioni e ad amministrare. Per uscire dall'emergenza am bientale della Terra dei fuochi bisogna rimettere in funzione la democrazia. La sola che può assumere decisioni responsabili ed efficacinell'interesse comune e poi difenderle e attuarle. Fare di più e parlare di meno. È questa l'unica strategia credibile per spegnere la rabbia e alleviare il dolore.