Acerra, viaggio nell`inceneritore 10mila sensori sorvegliano i fumi
Celeste, grigio, giallo, verde. In lontananza sono i colori dell'inceneritore. E il fumo? Non si vede da lontano ne da vicino. I cattivi odori? Si avvertono a tratti, ma non sono certo quelli di una discarica. Eppure qui si brucia a ciclo continuo, 24 ore su 24.
Si immagina l'inferno nelle campagne di Acerra. Ma il peggio è altrove. Nelle montagne di immondizia sversate nelle strade, nelle periferie, persino nei campi coltivati finiti sotto sequestro con i loro pozzi avvelenati nella vicina Caivano come a Giugliano. Anche a Natale non sono stati risparmiati accumuli a Napoli e roghi nella terra dei fuochi: un inceneritore all'aperto, nonostante una riduzione annunciata del 40% di incendi grazie a nuovi sistemi di prevenzione: i fumi ammorbano l'aria e oscurano il cielo ogni giorno. Se l'inferno è nelle città, ad Acerra ci si immagina di peggio. Invece, ecco il mostro e la sua ciminiera: i fumi non si vedono anche se nella fossa, sui forni, sulle turbine e sulle ciminiere si lavora a pieno regime ormai da due anni e passa. Il viaggio nell'impianto più contestato della Campania comincia nel grande piazzale coperto dove arrivano i camion con il carico da sversare nella fos sa: qui fu allestita la festa il giorno dell'inaugurazione. Sono passati 4 anni. Ora arrivano anche scolaresche, curiosi, ambientalisti, delegazioni di partiti. Ci si aspetterebbe un traffico di camion. Ma i camion dove sono? «Ne arrivano cento al giorno nel corso di tutte le 24 ore, in pratica meno di 5 all'ora spiega Lorenzo Zaniboni, il direttore per la A2A, l'azienda bresciana che dal 2010 ha in completa gestione l'impianto -. Bisogna alimentare in maniera costante sia la fossa che le linee dei forni». La fossa è dietro i pannelli rosa automa tizzati. Su il sipario. Una terrazza sulla monnezza tritovagliata.Lapuzzaèin buona parte stordita da trattamenti e aspiratori (per questo fuori si avverte ben poco) ma la lavorazione avviene come m una qualunque fabbrica. Enormi bracci meccanici muovono, mischiano, ruotano, sfasciano le balle che arrivano dagli Stir (stazioni di tri tovagliatura e imballaggio) di tutta la regione. Quando il materiale è ben mescolato la benna inforna il materiale: plastica e altri prodotti secchi selezionati negli Stir finiscono sulla griglia. Comincia la cottura, pardon, la combu- stione, come dicono i tecnici.
Nulla è lasciato al caso in un impianto tra i più grossi d'Europa. Basta fare un salto nella sala operativa che domina la fossa dei rifiuti. Pavimento color argento, una vetrata con vista sulla fossa, tré computer e postazioni con computer come in una cabina d'aereo per i tre operatori alla guida delle enormi macchine che alimentano i forni. La temperatura deve essere costante, 1000-1100 gradi. «Una temperatura necessaria an che per spezzare la molecola della diossina», puntualizza Zaniboni. Viene da ridere a pensare che qui si tratta immondizia e il pavimento appare più pulito di quello di un ospedale. Uno spioncino consente di vedere quel che avviene nel forno. Sarà così anche all'inferno? Chissà. Ma vediamo quel che ne esce. Sul treno a nastro proprio sotto i ponti delle fornaci passano ceneri, acqua e residui metallici. «Recuperiamo anche quelli - spiega Zaniboni -. Immaginate che su cento chili trattati 20 sono residui, quindici vengono recuperati per usi come per i cementifici e poi ci sono i metalli. Solo cinque chili sono ceneri da inertizzare e smaltire». È la parte più pericolosa? «Si tratta di ceneri che vanno inertizzate e compattate in mattonelle - risponde Zaniboni -. Vengono poi smaltite al costo di duecento euro a tonnellata in miniere in Germania che si trovano a grandi profondità, spesso al di sotto della falda e quindi in punti sicuri». Dai forni alla centrale di controllo. Tutti i parametri passano da qui, dalle produzioni alle emissioni. Grafici, formule, statistiche, dati in aggiornamento secondo per secondo dalle temperature alle emissioni, alle produzioni di energia elettrica: il prodotto di diecimila sensori distribuiti sui 9 ettari occupati dall'impianto e nei dintorni. Un dato fuori misura potrebbe portare al blocco di uno o più forni. È capitato? Nella prima fase, l'awio, sono state registrate corrosioni sulle tubature, subito sostituite. Più in là ci sono turbine e generatori che producono energia elettrica, distribuita dalla centrale collegata e interna all'impianto. Poi si arriva agli apparati di raffreddamento e ai filtri che intercettano polveri sottili e metalli pesanti, gli stessi che volano in libertà nei roghi di strada.
E siamo nella parte più delicata della struttura, le emissioni, quelle che interessano agli acerranima anche agli abitanti dei territori candidati a ospitare impianti gemelli. Un'altra sala di complesse apparecchiature che esaminano i residui dei forni. «Queste macchine per le analisi sono il top della tecnologia esistente - indica Zaniboni -. Dei complessi sistemi con fiale intercettano la diossina. Con uno dei parametri fuori misura si blocca l'impianto. Ma molti non sanno che qui si lavora molto al di sotto dei limiti indicati dalle normative europee, fissati in maniera ancora più restrittiva per Acerra e segnati sul pannello di fronte: meno 90% di polveri, meno 70% per cento di ossido di carbonio, meno 40% di ossido di azoto, meno 90% di ossidi di zolfo, meno 99,6% di diossine e di furani. I dati sono in rete, andrebbero diffusi meglio dagli enti istituzionali per tranquillizzare la gente e mettere fine a voci infondate». L'impianto quest'anno supererà le 650mila tonnellate trattate, quota 605mila tonnellate è stata raggiunta il 30 novembre, nel 2010 furono poco più di 500mila. In termini di benefici ambientali quest'anno c'è già stata una mancata emissione di 77mila tonnellate di C02, un risparmio di 99.500 tonnellate equivalenti di petrolio e l'immissione nella rete elettrica di 532mila Megawatt ora utili a 200mila famiglie.