La deposizione Giovanni Balestri: «Il percolato è a 32 metri di profondità»

Il consulente dei pm in aula: «Falde, non si può fare nulla»

14 dicembre 2013 - Titti Beneduce
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

NAPOLI — Per anni hanno fatto funzionare la discarica a pieno ritmo, ma non hanno mai costruito un impianto per l'estrazione del percolato. Il risultato è che ora l'area della Resit, a Giugliano, è avvelenata senza rimedio. Questa perlomeno è l'opinione del geólogo pisano Giovanni Balestri, che assieme all'Arpac e al Commissariato straordinario per l'emergenza rifiuti ha eseguito i rilievi nella zona all'indomani del sequestro del sito disposto anni addietro dalla Procura di Napoli. Balestri ha deposto ieri, in qualità di consulente nominato dal pm Alessandro Milita, al processo per disastro ambientale e inquinamento delle acque in relazione al funzionamento della Resit che è m corso davanti alla quinta sezione della Corte d'assise, presieduta da Adriana Pangia. Nelle scorse settimane si era invece concluso il processo con rito abbreviato, al termine del quale il boss dei casalesi Francesco Bidognetti era stato condannato a 20 anni. In aula, ieri, era presente anche l'imputato Cipriano Chianese, che fu titolare della Resit e che pochi giorni fa è tornato in carcere per con l'accusa di estorsione. «Nell'area della discarica — ha detto Balestri — il percolato è lì da 20 anni. È arrivato a 32 metri di profondità. E, a mio avviso, non si può più fare niente». E ha spiegato quanti e quali disastri ha provocato la gestione scriteriata di tonnellate di rifiuti: in un'area dell'invaso che non avrebbe dovuto contenere rifiuti, per esempio, «sono stati trovati rifiuti pericolosi fino a 17 metri sotto il piano reale. In quest'area l'Arpac e il Commissariato straordinario hanno trovato un rifiuto con un'alta concentrazione di cobalto tra i 5 e i io metri di profondità. Io personalmente ho trovato, a due metri di profondità, delle scorie di alluminio». Alla presenza delle sostanze pericolose smaltite in maniera scriteriata si è aggiunta poi la produzione di percolato, che — ha spiegato il teste — si forma fisiologicamente quando si accumulano grandi quantità di rifiuti, che però può essere resa inoffensiva con interventi tecnici mirati. «Ma alla Resit — ha spiegato Balestri — nessuno ha combattuto con i mezzi adeguati la produzione di questo liquido, che è prodotto prevalentemente dall'infiltrazione di acqua nella massa dei rifiutilo dalla loro decomposizione. E emerso, infatti, che a Giugliano mancavano gli impianti di estrazione del percolato, che pure in una discarica non possono mai mancare». Ne, ha precisato Balestri, è possibile che chi subentra nella gestione di una discarica di prima categoria (è il caso del Commissariato di governo, che per un periodo ha gestito la discarica) non si accorga dell'assenza dell'impianto di estrazione: «E come se uno andasse a comprare un'automobile e non si accorgesse che mancano le mote», ha detto. Proprio l'assenza di qualsiasi intervento ha fatto sì che il percolato si infiltrasse nel terreno e fuoriuscisse dall'area della discarica, invadendo i terreni contigui e spingendosi sino alla falda acquifera: «C'è solo una piccola porzione di tufo che separa il percolato dalla falda. A mio avviso l'unica cosa che si potrebbe fare non per rimediare ai danni, ma solo per limitarli, è una barriera chimica sotterranea con iniezioni di sostanze inertizzanti». Che però costano moltissimo: si faranno mai?

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