Sei milioni di eprsone nelle zone rosse

22 novembre 2013 - Francesca Sironi
Fonte: L'Espresso
Sono 6 milioni gli italiani che vivono in territori dove il pericolo per la salute è accertato: terre contaminate dal fantasmi di industrie antiche o da impianti ancora in attività. La lista è lunghissima. Comprende le raffinerie di Napoli, Gela, Priolo, Marghera. Le aziende chimiche di Brescia, Savona, Manfredonia. E poi l'amianto delle fabbriche di Casale Monferrato, di Broni o del comune torinese di Balangero. Senza dimenticare le discariche di rifiuti tossici campani, l'Uva di Taranto e l'ex Italsider di Bagnoli. Ma questi sono solo alcuni dei 57 "Siti di interesse nazionale", aree così inquinate da aver bisogno di provvedimenti d'urgenza per proteggere gli abitanti dalla minaccia ambientale. L'urgenza è rimasta solo nelle intenzioni. Nel 2001 è stato definito l'elenco delle località dove gli interventi sono prioritari, ma dopo 12 anni la pulizia non è ancora cominciata. E sì che l'emergenza è reale: al fianco di questi 57 buchi neri vive più del 10 per cento della popolazione italiana, costretta a respirare, mangiare, bere ogni giorno a stretto contatto con i veleni. Un gruppo di epidemiologi, coordinati dall'Istituto Superiore della Sanità, ha studiato nel dettaglio per otto anni le conseguenze sulla salute di chi abita nelle vicinanze di 44 "Sin". Ha trovato molti più morti del previsto (quasi 10 mila decessi in più rispetto a quanti ne sarebbero avvenuti in altre parti d'Italia), tumori polmonari in aumento per i residenti di Taranto, Porto Torres e delle zone in cui la terra è invasa dalle discariche illegali, oltre che conferme dei noti danni alla salute dell'amianto. Invece centinaia e centinaia di milioni inghiottiti dai bilanci del ministero dell'Ambiente sono serviti fino a oggi solo per pagare gli stipendi dei commissari straordinari e per mantenere strutture provvisorie destinate a contenere i danni, anziché risolverli. Succede, ad esempio, a Mantova, dove per evitare che il petrolio invada i laghi dei Gonzaga decine di pozzi aspirano benzina ogni giorno. Ma gli idrocarburi sono ancora lì, minacciosi, pronti a inquinare la falda. Secondo Greenpeace, sono stati spesi ben 3,2 miliardi di euro senza risolvere nessuno dei mali che affliggono la penisola. In compenso, come denunciato da un'inchiesta de "l'Espresso", i fondi pubblici hanno alimentato una macchina burocratica che sforna studi e propone soluzioni irrealizzabili. È il caso di Sogesid, la società controllata dal ministero dell'Ambiente, che ha incassato 400 milioni in quattro anni senza riuscire a concludere una sola bonifica: ben 35 milioni sono finiti in consulenze esterne. E questo mentre â milioni di persone continuano ad aspettare risposte concrete.
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