I RIFIUTI TOSSICI VANNO RIMOSSI OPPURE ISOLATI CON BARRIERE CHE FERMINO LE SOSTANZE KILLER UNA DISCARICA Dl RIRUTI A CIELO APERTO

E adesso bisogna bonficare

Un'operazione complessa, che costerĂ  miliardi. Da fare subito, prima che i danni nella Terra dei Fuochi diventino irreparabili
22 novembre 2013 - Giancarlo Sturloni
Fonte: L'Espresso

Cinquanta, forse ottant'anni. E una spesa che arriverebbe ad alcuni miliardi di euro. E quanto serve per pulire la Terra dei fuochi dai contaminanti killer. Ma la buona notizia è che si può fare. Non è troppo tardi per restituire la vivibilità alle vaste zone tra le province di Napoli e Caserta assediate dai roghi di immondizia e dalle discariche illegali. Non è troppo tardi, ma bisogna fare in fretta, perché ogni giorno che passa i rifiuti sprigionano altri veleni nell'ambiente. Su una cosa gli esperti sono lapidari: il primo atto da fare subito è quello di mettere in sicurezza i rifiuti dispersi sul territorio. Ci sono centinaia di discariche abusive, montagne di rifiuti abbandonati nelle cave o seppelliti nelle campagne sotto un velo di terra. Quelli vanno cercati e mappati. Poi si può decidere di rimuoverli mandandoli agli impianti di trattamento: inceneritori e discariche controllate. Oppure li si può lasciare dove sono isolandoli con barriere fisiche, per evitare il rilascio di altri inquinanti nell'ambiente. Come conferma Giovanni Pietro Beretta, professore di Geologia applicata all'Università di Milano, tra i massimi esperti italiani di bonifiche dei siti inquinati: «Dopodiché occorrerà scandagliare l'aria, l'acqua e i suoli in cerca di sostanze potenzialmente nocive».
Insomma, per prima cosa bisogna evitare che i rifiuti oggi presenti nelle campagne continuino a inquinare acque e aria che poi portano le sostanze tossiche fin dentro le case. Ma, subito dopo, serve di capire cosa in realtà c'è già oggi nell'ambiente. Legambiente denuncia che negli ultimi 22 anni, dal 1991 al 2013,qui sono confluiti 10 milioni di tonnellate di veleni provenienti da ogni parte d'Italia. Ma dati certi sulla natura di questi inquinanti non ce ne sono. «Non conosciamo nel dettaglio la natura dei contaminanti e la loro concentrazione in gran parte del territorio della Campania, e quindi non è possibile procedere con le successive fasi di bonifica o di messa in sicurezza», aggiunge Beretta.
Insomma, se non sappiamo cosa c'è là sotto, non possiamo fare nulla. È proprio perché questi dati non ci sono che il comando della Us Navy di Napoli ha deciso di finanziare l'indagine che "L'Espresso" ha rivelato la settimana scorsa. E per analizzare l'area di mille chilometri quadrati intorno alle proprie basi militari, gli americani hanno speso circa 30 milioni di dollari. Basta pensare a quanto più esteso è il territorio contaminato dalle discariche illegali per cominciare a parlare di soldi necessari a pulire la Campania. «Fare una mappa completa e una descrizione precisa dei siti inquinati in Campania e dei contaminanti che la intossicano potrà costare almeno 200 milioni di euro. E questi serviranno solo per capire cosa c'è là sotto e fare un progetto», dice Beretta.
Una volta scoperto sul serio "cosa c'è là sotto", si tratta di scoprire quanto fa male alla salute di chi vive in quei territori. Perché non si può pensare in alcun caso che, come d'incanto, con un intervento radicale di bonifica si possa pulire tutto il territorio inquinato. Bisognerà decidere di agire soprattutto in relazione ai rischi concreti per la popolazione. Anche se potrebbero esserci addirittura zone che è inutile o troppo costoso bonificare e andrebbero proprio recintate e rese inagibili. Spiega Beretta: «Un conto è se i terreni su cui si interviene sono destinati all'uso residenziale, dove le persone trascorrono la maggior parte del proprio tempo, e magari bambini che giocano nei prati, altro conto è se sono destinati a un utilizzo industriale-com- merciale».
Quindi, i costi variano molto innanzitutto perché più sono contaminati i terreni più si spende e poi perché molte e diverse sono le tecnologie in campo per pulire campagne e acque dai componenti tossici. Ovvio che a ogni sostanza nociva (o famiglia di sostanze) corrispondano diverse tecniche. Ma, in generale, quantifica Beretta, «decontaminare un terreno può costare da 20 a oltre 200 euro a tonnellata, mentre per bonificare le acque sotterranee si può spendere da 20 centesimi a 1 euro al metro cubo». Data l'estensione dell'area campana potenzialmente contaminata, il prezzo della bonifica rischia di diventare stratosferico.
Gli esperti insistono: se non sappiamo cosa dobbiamo trattare (cosa c'è là sotto) non possiamo dire quanto spenderemmo; ma secondo Beretta si potrebbe arrivare a qualche miliardo di euro: «Anche limitandosi alla Terra dei fuochi, si può pensare che occorrano 5 miliardi di euro, a seconda della tipologia di intervento e dei lunghi tempi di monitoraggio ambientale».
Il ministero dell'Ambiente intende stanziare 180 milioni di euro in tré anni per interventi straordinari in difesa del suolo, e 60 in due anni per le bonifiche. In tutto il paese dove «i siti potenzialmente contaminati sono fra 13 mila e 15 mila: per metà devono ancora essere indagati, mentre circa 5 mila sono sicuramente da bonificare», spiega Claudio Falasca, esperto in politiche per l'ambiente e il lavoro, ex direttore del Dipartimento Ambiente e territorio della Cgil nazionale. Secondo Beretta per pulirli tutti servirebbero 25-30 miliardi di euro. In Campania su 176 siti contaminati accertati, solo 12 risultano bonificati.
E, commenta Falasca: «Per l'Italia è un'altra occasione persa. Questi interventi, seppur costosi, dovrebbero essere considerati un investimento, perché i siti inquinati spesso si trovano in aree di pregio, come nel caso della zone orientali di Napoli, ricche di infrastnitture, che una volta riqualificate possono portare sviluppo e benefici sociali».
Perché le tecniche ci sono. E gli esperti non parlano di quelle opere faraoniche di rimozione della terra contaminata che sono state utilizzate fino a oggi col risultato di andare a contaminare altri territori (quelli dove le terre inquinate vengono trasportate). «Le tecniche in situ per il trattamento dei suoli e delle acque esistono», conferma Beretta: «e sono meno impattanti rispetto alle tecniche tradizionali ancora oggi maggiormente in uso, come lo scavo e lo smaltimento dei terreni e il pompaggio e il trattamento delle acque. Ma richiedono tempi di bonifica più lunghi».
Detto che le bonifiche, se ci fossero i soldi si potrebbero fare, resta quindi da capire in che tempi le "riqualifiche" di cui parla Falasca possono diventare realtà. Lo scorso 7 ottobre il governatore della Campania Stefano Caldoro ha affermato che per bonificare l'Area Nord di Napoli ne occorreranno 80. Beretta è più ottimista e ritiene plausibile ipotizzare che potrebbero bastare 50 anni, se gli interventi cominciano subito e la burocrazia non li ostacola. Chiunque abbia ragione è chiaro che si parla di saltare le prossime due o tré generazioni. Sempre che non ci abbia visto giusto il geólogo Giovanni Balestri che in una perizia redatta nel 2010 per la Procura di Napoli ha spiegato che in alcune zone gli effetti peggiori potrebbero manifestarsi fra cinquant'anni, quando il percolato che fuoriesce dalla discarica Resit potrebbe raggiungere le falde acquifere, avvelenando un'area immensa.

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