Mozzarella, la grande paura «Così rischiamo di sparire»
Meno dieci, meno venti, meno quaranta per cento. Non è la caduta a picco di un titolo bancario in Borsa, ma il crollo degli ordini di mozzarella di bufala dop. Settore primario, dove la ricchezza si crea. L'ultima catastrofe di una serie infinita: c'è la diossina? O una inchiesta sui Casalesi? Oppure un sequestro di bufale in uno dei 1500 allevamenti campani? Scoppia la psicosi dell'acqua avvelenata? A farne le spese perprimo, sempre e comunque, èl'oro bianco della Campania.
La situazione è gravissima, e nel mirino del Consorzio finisce il ritardo con cui il governo sta affrontando questa emergenza in un momento economico pesante in cui i produttori sono esasperati dalla mancanza di risposte concrete. «Stiamo affrontando la madre di tutte le battaglie», dice il direttore del Consorzio Antonio Lucisano. Una battaglia che potrebbe concludersi anche con il colpo di grazia per un comparto che impiega 15mila persone e fattura oltre mezzo milione di euro l'anno. Un vero miracolo artigianale costruito negli ultimi trent'anni capace di conquistare simpatia tra il pubblico dei foodies e poi di diventare sim bolo della paura di morire nella stessa clientela campana impressionata dall'ultima copertina dell'Espresso. Adesso è esplosala rabbia per l'ennesimo ritardo, l'ennesima incapacità politica e istituzionale di affrontare l'emergenza, soprattutto per la assenza di segnali chiari e rassicuranti che facciano capire al mercato che nonostante quello che è successo si possono fidare perché si corre ai ripari. Con una lettera indirizzata al presidente della Regione Campania Stefano Caldoro e all'assessore all'agricoltura Daniela Nugnes, i responsabili del Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana insieme ai vertici di Aicig (Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geograflche) Giuseppe Liberatore e Afidop (Associazione Formaggi Italiani a Denominazione d'Origine Protetta) Cesare Baldrighi, chiedono «risposte e azioni immediate in relazione alTemergenzalegata ai fatti inerenti la Terra dei Fuochi che sta dan neggiando fortemente l'intero comparto agroalimentare campano».
Ma cosa c'entrano in questa storia Giuseppe Liberatore e Cesare Baldrighi, rispettivamente presidenti dei consorzi del Chianti e del Grana Padano? Molto semplice: la paura è che la Terra dei Fuochi possa offuscare la reputazione del made in Italy. Le fobie per la salute del mercato anglosassone sono ben note e determinanti nell'orientare i consumatori. E proprio come la spazzatura di Napoli diventava la spazzatura dell'Italia, così adesso l'acqua avvelenata dell'Espresso può dare un duro colpo a tutto l'agroalimentare campano. Del resto basta vedere cosa succede in regione: «Quando scoppia uno scandalo - osserva il produttore Raffaele Barioni di Paestuml'area salernitana entra in quote di mercato occupate dai casertani. Ma dopo un po' di tempo è tutto il prodotto ad essere coinvolto nella visione negativa del mercato». «Il mercato omologato ama i messaggi semplici - diceAntipo Caputo, titolare dell'omonimo molino napoletano - e questo può essere un vantaggio e uno svantaggio. Noi non abbiamo avuto disdette di ordini, ma richieste di chiarimento sì. La psicosi è una isteria, scompare rapidamente, ma è la re putazione di un territorio che sui tempi lunghi perde colpi nella fascia più consapevole del mercato». Del resto è noto che la Piaggio aumentò gli investimenti dopo lo scandalo del Bmnello di Montalcino che diede un duro colpo alla reputazione del Made in Toscana. E qui si trattava solo dell'aggiunta clandestina di un po' di merlot per rendere più pronto il vino, altro che veleni tossici come in questo caso.
Nel mirino del Consorzio c'è dunque la regione, ma anche il governo che non sta adottando alcuna decisione e che rinvia il decreto legge più volte annunciato. Nello stesso documento infatti il presidente Domenico Raimondo e Lucisano sollecitano un incontro a Napoli con la «ministra Nunzia De Girolamo alla presenza di tutte le parti coinvolte, per un leale e sereno confronto, dove ognuno si assuma le proprie responsabilità». n presidente della Regione Stefano Caldoro preferisce evitare la polemica: «Sono sicuramente al fianco del Consorzio del chiedere al governo il decreto. Del resto quello che chiedono, la certificazione delle aree al prodotto è molto utile ma non dipende dalla regione. Reagisce invece stizzita Daniela Nugnes in una nota: «L'attacco mosso dal Consorzio di tutela della mozzarella di bufala dop appare quanto mai strumentale e inopportuno visto che, proprio su argomenti quali la tracciabilità dei prodotti, più volte abbiamo sollecitato incontri per definire regole certe tese a garantire la sicurezza alimentare dei cittadini consumatori». Ma sono proprio Caldoro e la Nugnes ad essere nel mirino delle critiche. «Il 4 novembre dopo continui rinvii il presidente ci ha ricevuto assicurandoci una risposta concreta in 48 ore. Sono passati sedici giorni e non è successo niente se non l'aggressione alle nostre quote di mercato». Quello che ha fatto andare su tutte le furie Lucisano, la classica goccia che fa traboccare il vaso, è stata la partecipazione della Nugnes a UnoMattina. Quando Franco di Mare le ha chiesto: «Come possiamo essere sicuri di una mozzarella?» «La risposta spiega Lucisano - era m sole tré lettere: quando è dop, ma non le ha pronunciate e questa la dice lunga».
Per la Nugnes «mai come in questo momento, così delicato per tutto il comparto, occorre mettere da parte personalismi e lavorare compatti per ridare alla nostra agricol tura il valore che merita e che gli spetta di diritto visto che i nostri prodotti non solo sono eccellenti, ma sono anche garantiti. Come dico sempre, le porte dell'assessorato sono costantemente aperte per chi vuole lavorare costruttivamente. Per questo faccio mio l'invito del consorzio di tutela della mozzarella di bufala e degli altri consorzi e sono disposta a ogni tipo di confronto».
Insomma, il rapporto di fiducia è in crisi. «Inutile aspettare le istituzioni - dice ancora Lucisano -, non hanno una tempistica adeguata all'emergenza, dobbiamo creare un movimento dal basso di tutti i produttori certificati dop, non possiamo più aspettare. Dietro l'angolo c'è la fine di un comparto». Ma se la mozzarella e il pomodoro sono organizzati in consorzi, l'ortofrutta campana non può più presentarsi direttamente neanche sui mercati locali. Deve passare per intermediazioni pugliesi o laziali, così come avveniva durante la crisi della diossina del 2007. Una emergenza dunque davvero grave, pagata da un settore non assistito e capace di camminare con le proprie gambe.