Legambiente: ecco le rotte dei traffici

16 novembre 2013 - Raffaele Nespoli
Fonte: Unità
NAPOLI L'odore acre e pungente della diossina continua ad appestare l'aria in provincia di Napoli, roghi tossici che hanno segnato il destino e il nome di un'area che si estende fino al confine con Caserta: la terra dei fuochi. Non è cambiato molto, non ancora. Lo scempio non si è fermato, la gente continua ad ammalarsi e a morire. Finalmente però se ne può parlare, non è più un tabù. In qualche modo un parroco di provincia e il dolore di madri che hanno dovuto seppellire centinaia di piccole bare bianche sono riuscite ad intaccare quel muro di gomma che per anni ha tenuto tutto nascosto. Una realtà talmente orribile da non poter essere rivelataSversamenti che in 22 anni di «Rifiuti Spa» hanno portato all'apertura di centinaia di indagini. «Adelphi», «Black Hole», «Caronte», «Cassiopea», sono solo alcuni dei nomi che gli inquirenti hanno dato alle diverse inchieste. Nomi che Legambiente ha tradotto in numeri e che in qualche modo tracciano le rotte della terra dei fuochi. Un lavoro tanto più importante alla luce della grande manifestazione che oggi animerà le strade di Napoli. Memoria storica, in una regione dove la camorra ha sempre osteggiato la riflessione e ogni forma di libero pensiero sull'argomento. Si «scopre» allora che dal 1991 al 2013 sono state censite ben 82 inchieste per traffico di rifiuti che hanno incanalato veleni da ogni parte d'Italia per seppellirli direttamente Legambiente: ecco le rotte dei traffici nelle discariche legali e illegali della terra dei fuochi, gestite della criminalità organizzata casertana e napoletana. Inchieste concluse con 915 ordinanze di custodia cautelare, 1.806 denunce e che hanno coinvolto ben 443 aziende: la stragrande maggioranza con sede sociale al Centro e al Nord Italia.
«In questo quarto di secolo - denunciano da Legambiente - lungo le rotte dei traffici illeciti si è mosso di tutto: scorie derivanti dalla metallurgia termica dell'alluminio, polveri di abbattimento fumi, morchia di verniciatura, reflui liquidi contaminati da metalli pesanti, amianto, terre inquinate provenienti da attività di bonifica. E ancora rifiuti prodotti da società o impianti, noti nel panorama nazionale, come quelli di petrolchimici storici del nostro Paese: i veleni dell'Acna di Cengio, i residui dell'ex Enichem di Friólo, i fanghi conciari della zona di Santa Croce».
Secondo questo dossier nella terra dei fuochi, ma più in generale tra Napoli e Caserta, sono stati sversati circa 10 milioni di tonnellate di rifiuti di ogni specie. Un tir, secondo gli inquirenti, è in grado di trasportarne 25 tonnellate alla volta. Circa 410 mila 905 camion carichi di rifiuti hanno attraversato mezza Italia terminando il loro tragitto nelle campagne del napoletano e nelle discariche abusive del casertano. Per Ros sella Muroni, direttore generale di Legambiente «le responsabilità che vengono da un passato trentennale sono enormi e intrecciano i rapporti tra imprenditoria del Nord, camorra e politica, a partire dalla fine degli anni Ottanta. La gravita della situazione e l'urgenza di dare risposte efficaci - dice - richiede uno sforzo congiunto di tutti. Vogliamo che sia archiviata finalmente la triste stagione della terra dei fuochi e che il territorio possa tornare a vivere e credere nel futuro». Una speranza alla quale si aggrappano tutti i cittadini della Campania, anche se giorno dopo giorno la realtà sembra diventare sempre più dura. L'ultimo choc è arrivato ieri, quando il settimanale l'Espresso ha proposto una copertina dal titolo estremamente eloquente: «Bevi Napoli e poi muori». L'inchiesta a firma di Gianluca Di Feo e Claudio Pappaianni prende spunto da un dossier realizzato nel 2009 dall'Us Navy di Napoli (e già circolato sulla stampa locale) nel quale sarebbe contenuto un allarme per diverse sostanze tossiche trovate in alcuni pozzi di approvvigionamento: piombo, diossine, Pce e addirittura Uranio.
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