Pomodori e monnezza
Almeno un paragrafo d'una futura storia di Napoli e della Campania dovrà dedicarsi alla questione «monnezza»: termine dialettale ormai trasferito al lessico nazionale. Pagine ingloriose, che m tanti hanno contribuito a scrivere: politici delle istituzioni locali e nazionali, funzionari, manager, esperti; cittadini perbene e malavitosi; tutori dell'ordine e tutori della legge. Difficile datare l'inizio di tale fetida questione, diciamo più d'un ventennio. Il peggio è che non se ne possa indicarne la fine. Perché dal tema principale, ovvero che capoluogo e campagne della regione sono sporcate, avvelenate, imbnittite dalla «monnezza», si dipartono rami collaterali relativi a singoli siti e a specifici fattori inquinanti. Onde porre riparo al problema generale e a quelli particolari esige crescenti risorse e capacità operative; e allo stato difettano le une e le altre. Com'è ben noto per essere da giorni al centro di commentì, la più recente pagina di detta questione è costituita, dopo dieci anni tra istruttoria e dibattito in tribunale, dall'assoluzione di Antonio Bassolino, già presidente della Campania, e di altre ventisette persone, dai gravi reati che, secondo i magistrati inquirenti, avrebbero commesso nella gestione del ciclo dei rifiuti nei primi anni del 2000. Questa assoluzione mi rallegra. M'avrebbe assai più rattristato se una condanna avesse stabilito che a Napoli, come sindaco dal 1993 al 2000, e in Campania, come presidente dal 2000 al 2010, avesse governato un truffatore e non una persona onesta quale i giudici della V sezione hanno ritenuto sia stato appunto Bassolino. Intendiamoci, non è che il giudizio penale, positivo, cancelli giudizi politici negativi. Sono convinto che dei tré sindaci altematisi nel l'ultimo ventennio a Palazzo San Giacomo il migliore sia stato proprio Bassolino e che la via del peggio, percorsa dalla lervolino, abbia raggiunto il culmine nell'attuale gestione de Magistris. Eppure imputerei proprio a Bassolino l'avvio di quella strategia di governo meno coerente alla dolente situazione d'una città come Napoli: ovvero la ricerca di effervescenze programmatiche destinate a sfociare nell'effimero. Nella presunzione che la visibilità mediática potesse rivelarsi risolutiva delle carenze di strutture economiche e funzionali. n contrario d'un impegno per rendere «normale» la fisiologia cittadina. Di fronte a una situazione patologica, normalità significa assicurare trasporti, scuole, manutenzioni, viabilità, gestione ottimale del patrimonio pubblico monumentale e residenziale. E, appunto, efficacia nella rimozione e smaltimento dei rifiuti. Tutto ciò che mancava e tuttora manca. Con danno alla qualità di vita di milioni di cittadini e all'economia del territorio. «Doppio fallimento» ha definito Marco Demarco la gestione Bassolino e l'esito della sua vicenda giudiziaria.
Esce bocciata la magistratura nell'aver fatto oggetto di giudizi penali comportamenti di pubblici amministratori suscettibili piuttosto di giudizi politici o di rilievi della Corte dei Conti. Anche se nel caso specifico lo nega Giovandomenico Lepore, che fu a capo della Procura negli anni m cui vennero indagati Bassolino e gli altri. Sostiene che l'iniziativa dei suoi uffici determinò svolte utili a più incisivi interventi per risolvere la «questione monnezza». A Lepore vanno riconosciuti ampi meriti per i successi contro il crimi ne organizzato e il mariuoleggio in settori pubblici. Ma dubito si possa condividere la sua ipotesi che l'azione della magistratura inquirente debba comunque intendersi benefica, perché stimolatrice di soluzioni virtuose, indipendentemente dai giudizi di innocenza o colpevolezza delle persone prese di mira. Mi pare spropositato il rapporto costi-benefici. Troppi, nel caso Bassolino e altri: dieci anni di atti giudiziari, centinaia di testimoni coinvolti, perizie, spese pubbliche ingenti, drammi personali, di reputazione e pa trimoniali per gli indagati. Non meno importante, il danno all'immagine di Napoli e della Campania, per la diffusione mediática della vicenda in Italia e all'estero. Nella storia della questione monnezza in Campania si individuano due filoni. L'uno è quello dello smaMmento dei rifiuti prodotti dalla popolazione locale. L'altro è quello dell'importazione clandestina di rifiuti tossici, prodotti da industrie di altre regioni che trovano più economico affidarne lo smaltimento ai camorristi campani. Non combattuto in modo adeguato all'inizio, per collusioni di amministratori locali e paure di cittadini delle aree interessate (prevalentemente le campagne tra Napoli e Casería), il problema è divenuto evidente dopo l'impennata dei livelli di mortalità riconducibili all'inquinamento. E ancor più enfatizzato all'attenzione generale dalla recente diffusione delle dichiarazioni di tal Schiavone, famigerato pentito di camorra: figuravano, non si sa perché, secretate da anni agli atti della commissione parlamentare antimafia. Al danno della salute di tanti s'aggiunge quello economico per l'intera regione. L'agricoltura in queste terre fertilissime è messa in crisi. Non solo laddove è bene non più coltivare, in attesa d'una bonifica che richiederà tempi lunghi. Ma nell'intera regione, coinvolta ingiustificatamente dai timori dei consumatori amplificato da produttori d'altre regioni interessati ad eliminare la concorrenza campana. Ne è esempio allarmante il caso dell'industria del Nord che inscatola pomodoro vantandone la provenienza non meridionale. La globalizzazione ha reso la Campania un deserto industriale; e non possiamo prendercela con il mondo. Ma se gestioni inefficienti del problema monnezza e incon trollati inquinamenti camorristici ci devastano l'agricoltura e l'immagine non possiamo che prendercela con noi stessi.