Le imprese dell'oro rosso in rivolta Quello slogan danneggia tutta l'Italia
PAROLE che bruciano. Che pesano come accuse a chi lavora nel campo della trasformazione del pomodoro da mezzo secolo. «È in atto un fenomeno di criminalizzazione dell'intero settore del pomodoro del Meridione con il conseguente disorientamento dei consumatori italiani». È dura la reazione dell'Anicav, l'associazione nazionale degli industriali di conserve alimentari e vegetali, che raggruppa il 50 per cento delle aziende che trasformano il pomodoro in Italia, con un fatturato complessivo di circa 2 miliardi.
«Esprimiamo ferma condanna e biasimo - proseguono dall'associazione- nei confronti di comportamenti, dichiarazioni e spot pubblicitari che danneggiano gravemente l'intero comparto conserviero campano».
La voce è unanime. Gli imprenditori del comparto conserviero della Campania fanno muro e rispediscono al mittente le parole della Pomì. Il pericoloè il duro colpo inferto ad un comparto che va a gonfie vele, nonostante la crisi. Il presidente Anicav Antonio Ferraioli (anche amministratore delegato del gruppo Doria, la storica azienda campana produttrice di conserve di pomodoro) è convinto dei danni che il settore sta incassando dalla pubblicità negativa di questi giorni. Anche lui condanna «qualsiasi forma di speculazione che punti ad identificare il pomodoro con una singola provincia o regione». L'obiettivo dell'Anicav, in collaborazione con le istituzioni è perimetrare i terreni e interdire alla coltivazione i suoli che dovessero risultare contaminati. «Dobbiamo diffidare chi ha fatto quella pubblicità- dice Nobile di Leo, amministratore delegato Calispa, azienda conserviera di Castel San Giorgio - e chiamarli ad un confronto diretto per vedere qual è il prodotto migliore. Il pomodoro che viene dal Sudè il massimo in assoluto da secoli e la Pomì dal Nord, immersa nelle nebbie dell'Emilia Romagna, vuole darci lezioni su come si coltivano i pomodori. Lo sanno che hanno bisogno soltanto di sole?».
Il settore è minato dai continui allarmi della Terra dei fuochi. Sono sempre di più i clienti che chiedono garanzie sui prodotti. Dall'Italia ma anche dall'estero, perfino dal Giappone. «Ci hanno chiesto la provenienza e le analisi del prodotto finito - precisa Gaetano Oliva della Sica, azienda di Pagani con un fatturato di 18 milioni nel 2012 - noi abbiamo la tracciabilità interna, le analisi le facciamo sempre durante la trasformazione del pomodoro. I clienti sono stati rassicurati ma abbiamo dovuto mostrare i nostri risultati che lo garantivano». «Un settore fiorente: al Centro Sud si producono circa 22 milioni di quintali di pomodoro da industria, al Nord 18 milioni. Eppure solo una piccola parte del territorio incriminato della Terra dei fuochi, assicura Anicav, fornisce le aziende. Il pomodoro fresco proveniente dalla provincia di Caserta è solo il 3,85 per cento del fresco lavorato in Italia e il 7 per cento di quello del CentroSud, perché, in prevalenza, la materia prima lavorata proviene dalla Puglia. Da Caserta, invece, proviene il pomodoro tondo. Mentre il San Marzano dop resta un gioiello made in Campania. «Vorrei dire alla Pomì di non essere così convinta di avere utilizzato solo prodotto del proprio territorio - attacca Pasquale D'Acunzi, presidente del Consorzio per la tutela del San Marzano Dop - magari nelle loro passate che non sono solo lavorate dal fresco potrebbe esserci finito concentrato di pomodoro di Caserta o magari proveniente anche dall'estero. Il danno lo hanno fatto non solo alla Campania ma anche all'Italia. Perché se per il Nord Caserta vuol dire tutta la Campania, per l'Europa può voler dire tutta l'Italia. E potrebbero rimetterci anche loro».