Il magistrato svelò gli sversamenti dei rifiuti. De Magistris: non è l'anno zero, svolta possibile

«Sappiamo già tutto, bonifiche subito»

Il procuratore Antimafia: traffici illeciti sottovalutati negli anni '90, ora servono soluzioni Roberti: ecoballe grave rischio. Il business? Alimentato dalle pene lievi
«Vent'anni di inchieste conosciamo nomi e ruoli Ma spesso chi ha inquinato l'ha scampata»
4 novembre 2013 - Daniela De Crescenzo
Fonte: Il Mattino

«Quello che è successo negli ultimi vent'anniè noto. Sappiamo da tempo chi ha inquinato e che cosa ha sversato. I magistrati hanno indagato a lungo e approfonditamente. Le carenze normative e la crescente gravita del fenomeno sono state segnalate pubblicamente innumerevoli volte dai magistrati fin dalla metà degli anniNovanta. Ora bisogna passare alle bonifiche. E bisogna farlo subito»: Franco Roberti è il procuratore nazionale antimafia, ma è anche il magistrato che per primo alzò il velo sul traffico di rifiuti . Anche grazie alle sue indagini, ben prima che Carminé Schiavone si pentisse e cominciasse a parlare, era già chiaro che in Campania arrivavano veleni da mezz'Italia.
Era il 1992 quando Nunzio Perrella, uno dei boss del rione Traiano, spiegò proprio a Roberti: «Dotto' non faccio più droga. No, adesso ho un altro affare. Rende di più e soprattutto si rischia molto meno. Si chiama monnezza, dotto'. Perché per noi la monnezza è oro». Alla fine del '91 Nunzio era stato accusato da Antonio Bonocore, finito m manette, di gestire un giro di cocaina. Ma a quell'epoca il camorrista si era già da tempo trasferito a Thie ne, nei pressi di Vicenza, dove aveva trovato un affare più lucroso: lo sversamento abusivo dei residui di una fabbrica di vernici. E all'allora pm Franco Roberti raccontò tutto quello che si muoveva dietro il nuovo e più conveniente business della camorra. Tirò in ballo politici e imprenditori e perfino il venerabile maestro Licio Gelli. Nella notte tra il 29 e u 30 marzo venne arrestato l'ex assessore provinciale all'Ecologia, Raffaele Pen-one Capano, docente di diritto intemazionale all'università di Napoli, esponente di spicco del partito liberale cam pano. Perrella aveva spiegato che i proprietari delle discariche legati ai clan avrebbero prosperato grazie alle licenze procurate dall'assessore. E aveva fatto i nomi dei manager della camorra: LucaAvolio, Cipriano Chianese, Gaetano Vassallo. Tutti indagati, da allora in poi, più e più volte per gli affari illeciti in campo ambientale. Raccontò come si stavano arricchendo Giorgio Di Francia, Domenico e Francesco La Marca proprietari del «buco» di Pianura dove finivano i rifiuti di Napoli. Partirono le inchie- ste, ci furono ondate di arresti, ma i traffici continuarono e nessuno intervenne per bonificare quei terreni che, era già chiaro allora, erano impregnati di veleni. «Perrella aveva ragione spiega Roberti - all'epoca il traffico di rifiuti era molto remunerativo e faceva correre pochi rischi. ÑÛ faceva viaggiare illegalmente i rifiuti, chi li sversava spandendo veleni, rischiava solo una contravvenzione. Tanto che quando arrestammo un assessore a Napoli lo incriminammo per corruzione e non per traffico di rifiuti: il reato all'epoca non esisteva. Solo nel2006 furono introdotte norme efficaci».
Quasi vent'anni per mettere a punto norme capaci di fermare i traffici. Norme che poi sono servite, grazie anche alle successive dichiarazioni del manager legato ai Casalesi, Gaetano Vassallo, a far decollare nuovi procedimenti che hanno bloccato molti degli avvelenatori: dallo stesso Vassallo a Chianese, tuttora sotto processo, fino ai fratelli Orsi. «A metà degli anni No vanta - ricorda il procuratore antimafia - ci fu una corposissima informativa dei carabinieri del Noe che portò anche al sequestro dei laghetti di Castelvoltumo e al processo Adelphi. Allora bisognava guardare in faccia al problema. Non lo si fece. Non fu colta la gravita del pro blema che rimase a lungo sottovalutato dai poteri locali e centrali. Ci vollero molti anni per colmare il vuoto lasciato dall'assenza di una specifica struttura normativa». Adesso le norme ci sono. Ma molti danni sono stati fatti: «II problema - sostiene Roberti - non è ricostruire quello che è successo: questo lo ha fatto la magistratura. Adesso bisognamettere mano alle soluzioni. Le stesse ecoballe vanno eliminate al più presto perché costituiscono un rischio per la salute pubblica».

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