Sommersi dall’immondizia da Marano ok alla discarica
Marano. È la guerra di tutti contro tutti. Marano è diventata l’epicentro della monnezza. In strada ci sono duemila tonnellate di rifiuti, un’enormità, un concentrato di puzza che ieri ha fatto esplodere la protesta violenta. Donne, bambini, giovani e anziani di corso Mediterraneo, la strada che porta a Qualiano, hanno bloccato il traffico usando i cassonetti come barricate, spargendo le sacchette putride e suppuranti dovunque. Non erano tanti, ma agguerriti. Mascherine e rabbia. Blocchi anche a San Rocco, ma con minori disagi sulla circolazione. «Questa è la nuova discarica (e nuie simme ’e zucculuni). Viva ’o colera» era scritto su un cartellone. «Benvenuti. Bertolà, sta ccà la discarica Marano 1» recitava un altro. Ma più eloquenti, su quanto stia cambiando il clima per Chiaiano, sono le discussioni, al limite dello scontro fisico tra la gente della zona, abbastanza lontana dalla cava dove andranno a sversare i compattatori, e alcuni rappresentati del presidio di Cupa del Cane. Marano s’è spaccata. Il ragionamento più diffuso è: meglio la monnezza nella cava che sotto il mio balcone. «Bertolaso ci sta prendendo per il naso, con i fiéti» commenta una delle donne che blocca chiunque voglia passare anche solo con un motorino. «Ora siamo noi a volere la discarica» grida Raffaele, un omone con la barba e una polo rossa. «Basta con le proteste sterili che fanno male a noi stessi». È quasi una resa in questa partita a scacchi che dura da un mese. La mossa vincente è stata quella di far crescere cumuli su cumuli di sacchette a piede libero. Da circa un mese la raccolta è a singhiozzo, di fatto sospesa, e con il caldo la città rischia di essere asfissiata. Siamo quasi allo scacco matto. I manifestanti di piazza Titanic (che ieri era inquietantemente vuota) rischiano l’isolamento nell’opinione pubblica. A guidare la lotta sono sempre i Comitati dei No global e la gente di Poggio Vallesana, la più vicina alla cava. Per loro la lotta continua. La carovana-lumaca di una settantina di auto che dovrebbe bloccare la mobilità di Napoli o dei comuni dell’area Nord, prevista per questa mattina, potrebbe slittare a domani. Tutta l’attenzione si è concentrata sull’infuocato consiglio comunale che si è tenuto in serata. Il sindaco Salvatore Perrotta ha rassicurato chi invocava rimozione e disinfestazione. «Abbiamo ottenuto un piano straordinario di raccolta» annuncia. «Avremo più mezzi in azione». E ha raccomandato di non incendiare la monnezza. Un invito quotidianamente disatteso. A via Monte sono dovuti intervenire i pompieri per spegnere un rogo vicino al serbatoio di gas di un condominio. Alcuni ragazzi avrebbero lanciato un fiammifero. Un materasso ha preso fuoco e si è sfiorata la tragedia. Pochi metri più giù, a via Corree di Sopra, la monnezza si misura a metri. E puzza, assai. Tanto che l’hanno ricoperta di calce. Ma la spazzatura ha già sommerso due auto, una da rottamare, l’altra semplicemente in sosta. Ogni tanto brucia. Eppure c’è chi, a tutte le ore del giorno, si ferma e lancia il proprio sacchetto indifferenziato sul tal quale arso e calcificato. Non lo dissuadono le proteste delle donne dai balconi. «E che devo fare? Me la devo tenere a casa» replica l’anziano untore prima di andare via smadonnando. Scene di ordinario degrado. A via Panoramica, che sale ai Camaldoli, c’è chi la monnezza la raccoglie. Fa la propria differenziata. È Rashid, zingaro bosniaco, con il suo scassato furgone rosso. La moglie, grassottella e lurida, scarta stracci, tappeti e oggetti di plastica dal monterozzo fetente. Che ne fate? «La vendiamo». Dove? «A Melito. Ma cerchiamo anche il ferro. Viviamo così». Vivete chi? «Io e altri duecento come me. Veniamo dal campo di Ponte Riccio a Giugliano». Per la sua miseria questa emergenza è una pacchia. Tutto si butta, nulla si distrugge. E lui riclica.