Pianura, il quartiere fantasma costruito sui veleni
La strada che da Pianura porta alla Montagna Spaccata, lungo la contrada Pisani, ha una faccia pacificata, quasi soporifera. Ma è solo apparenza. E una serenità dettata dalla rassegnazione. Meglio non sapere. Non sapere cosa nasconde il ventre marcio della discarica che incombe sul lato sinistro, curva dopo curva, e che per bocche ha cancelli stretti da coiti muri di tufo. Uno, due, tré, quattro, tanti. All'orizzonte vedi svolazzare degli uccelli neri. Non sono i gabbiani di altre discanche ancora attive che mostrano la scoria in tutta la sua putrida indecenza. Saranno corvi, come in un incubo di Edgar Allan Poe: «Mai più».
La strada che da Pianura porta alla Montagna Spaccata, lungo la contrada Pisani, ha una facda pacificata, quasi soporifera. Ma è solo apparenza. Èuna serenità dettata dalla rassegnazione. Meglio non sapere. Non sapere cosa nasconde il ventre mardo della discarica che incombe sul lato sinistro, curva dopo curva, e che per bocche ha cancelli stretti da corti muri di tufo. Uno, due, tré, quattro, tanti. All'orizzonte vedi svolazzare degli uccelli neri. Non sono i gabbiani di altre discariche ancora attive che mostrano la scoria in tutta la sua putrida indecenza. Saranno corvi, come in un incubo di Edgar Allan Ðîå: «Mai più». AP ianura i veleni sono stati seppelliti, ma non sono morti. E soprattutto non si vedono, se non nei bollettini medici che registrano anche qui un aumento dei tumori. È la terra dei fuochi che da nord, da Pozzuoli e da Quarto, entra nel corpo di Napoli. O meglio c'è entrata nei decenni scorsi. Di sicuro fino al 1994, quando tutte gli sversatoi legali e illegali sono stati cMusi, qualcuno bonificato (forse solo sulla carta), gli altri lasciati a suppurare la chimica lebbra, sotto la coltre di terra grigia, sotto il verde malato di erbe che non hanno al forza di crescere, sotto qualche stentata pineta.
È un paesaggio lunare. Non ci sono più le fumarole, quelle mofete chimiche che facevano dei Pisani una Solfatara artificiale: non sanava, ma uccideva. Perché non lo chiamavano veleno. Lungo un sentiero di cemento, mangiato da erbe con fiori gialli che fanno autunno e non primavera, si scende verso una muraglia di tufo che cinge un fosso riempitoconmateriali edili dirisulta, quando andava bene, ma, agiudicare dalla polvere appiccicosa che nessuna pioggia riesce a trattenere a terra, anche amianto e morchie, vernici, chimica decorata di teschi smaltita illegalmente dal Nord. Sei circondato da steli brudatì che ti segnano le bracda, quando provi ad attraversarli, calpestando un tappeto di gusci vuoti di chiocciole. E` vita erosa da roghi o è madre terra che non può piùnutrirla? Tra i rovi, pneumatici e bottiglie di birra. Qualcuno viene a ubriacarsi in questo deserto di cenere.
Pianura, dopo la rivolta del 2008 si è turata il naso. La vita, nei decenni, ha trovato come crescere e adattarsi alla discarica che, se non sai che e' è, se non la cerchi, oltre i depistaggi dei locali, non la vedi. E quindi puoi fingere che non ci sia. Qui trovi un maneggio, capannoni industriali, piccoli supermarket, case datempo condonate, ville che manco te le sogni altrove, un rimessaggio per yacht con i Tir che fanno avanti e indietro sui sentieri, trasportando motoscafi. «C'è chi vuole la bonifica» spiega Doriana Sarli, attivista dell'ambiente e militante del Movimento 5 Stelle «ma anche chi teme che se si smuove il ventre del mostro si creano altri disastri. Hanno comprato a ridosso o dentro l'area delle discariche e sebbene la sottostante falda acquifera sia ormai irrimediabilmente compromessa, fingono di stare tranquilli». Rassegnazione e, in qualche caso, complicità. «Dopo la fiammata della protesta di cinque anni fa» continua la Sarli «e dopo aver scongiurato la riapertura, chi si lamenta lo fa solo per dire che non c'è più speranza». Prevale l'idea che si deve investire in coltivazioni no-food per dare tempo alla terra di purificarsi. «Ma mica è possibile?» incalza l'ambientalista. «Abbiamo il diritto di sapere che cosa c'è qui. Almeno questo. Ce lo devono».
Molti dei processi di epidemia colposa o di disastro ambientale sono stati archiviati. «Non si sono più esalazioni da tempo» racconta Crescenzo Mele, una vita a combattere contro la distruzione della sua terra. «Ci restano i tumori. Un mio amico quarantennene sta morendo, tanti bambinini sono già morti. Qui per decenni, quando la coscienza ambientalista era ritenuta una stravaganza, hanno sotterrato di tutto. E quello che sta emergendo è roba arcinota che nessuno, quando sarebbe stato utile, ha voluto sentire o capire». Si scopre l'acqua calda, o meglio avvelenata. Come sta avvenendo in quella terra dei veleni tra Napoli e Caserta, epicentro del fusto a piede libero, dove si può dire senza tema di smentita che «la Scoria siamo noi», come a Giugliano, a Casal di Principe, a Caivano: chi gridava, chi lanciava allarmi, era una voce in un affollato e distratto deserto. Ma il veleno da tempo aveva aggredito ai fianchi anche Napoli, che si sentiva protetta, mentre Pianura restava pianura solo di nome, perché sotto il naso di tutti crescevano colline appestate, industriali senza scrupoli si arricchivano e becchini senza vergogna non seppellivano i morti, ma la Morte.