Quei fusti nel Parco dello Sport Bagnoli, giallo su Google Maps

Foto scattate dal satellite nel 2009 mostrano decine di bidoni bianchi nell'area dove è in corso un'inchiesta per la «bonifica fantasma»
1 ottobre 2013 - Anna Paola Merone
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

NAPOLI — Le foto sono datate 2009 e mostrano centinaia di bidoni bianchi allineati sui terreni dove, di lì a poco, sarebbe stato realizzato il parco dello Sport di Bagnoli. Uno scorcio di Napoli Ovest restituito da scatti di Google Maps che potrebbero sostenere e avallare ulteriormente le ipotesi avanzate dalla Procura di Napoli, secondo la quale sulle aree dell'ex Italsider e dell'ex Eternit di Bagnoli sarebbero stati commessi reati ambientali e la bonifica effettuata sarebbe stata solo «virtuale». L'inchiesta — condotta dal pm Stefania Buda con il coordinamento dei procuratori aggiunti Francesco Greco e Nunzio Fragliasso — ha accertato un notevole inquinamento dell'area aggravato dagli interventi di bonifica. Ventuno gli indagati nel corso di una indagine che, lo scorso aprile, ha portato al sequestro delle aree. Fra i destinatari degli avvisi di garanzia ex dirigenti della società «Bagnoli Futura» e di vari enti locali. Fra questi due ex vicesindaci di Napoli: Sabatino Santangelo, presidente della Bagnolifutura fino al 2006, e Rocco Papa, presidente della Bagnolifutura dal 2006 al 2010. Sopra i gruppi di fusti bianchi nelle foto scattate dal satellite nel 2009 e pubblicate su Google Maps. Attualmente l'area è occupata dai campetti sportivi Nei riguardi di entrambi la Procura di Napoli ha ipotizzato i reati di concorso in truffa aggravata. Per gli stessi reati indagato anche Gianfranco Mascazzini, ex direttore generale del ministero dell'Ambiente. Fra i ventuno anche Carlo Borgomeo e Mario Hubler, ex direttori generali di Bagnolifutura Alla luce di queste foto si ripropone un interrogativo: cosa sono quei fusti bianchi allineati sul terreno? Contengono rifiuti o altro? Le vicende legate alla bonifica delle aree di Bagnoli, secondo la Procura di Napoli, «sono avvenute in un contesto generalizzato di conflitto d'interesse». Secondo i pm, «tutti gli enti pubblici istituzionalmente preposti al controllo dell'attività di bonifica, quali Arpac, Comune e Provincia di Napoli, si sono venuti a trovare in una situazione di palese conflitto». Secondo le indagini dei carabinieri del Comando provinciale di Napoli e del Noe, l'interscambio dei ruoli tra controllori e controllati e il conflitto di interessi degli enti pubblici», insieme al comportamento dei soggetti responsabili della vigi lanza sulla salvaguardia ambientale hanno determinato «il progressivo scadimento degli obiettivi di bonifica e dei controlli ambientali, causando - secondo l'ipotesi accusatoria un disastro ambientale». In particolare - sempre secondo l'accusa - gli organismi di vigilanza hanno avallato le scelte procedurali di Bagnolifutura, la società incaricata della bonifica delle aree. La bonifica di Bagnoli, costata 107 milioni di euro, non solo è stata solo «virtualmente effettuata» ma ha di fatto «comportato una miscelazione dei pericolosi inquinanti su tutta l'area oggetto della bonifica con aggravamento dell'inquinamento dei suoli rispetto allo stato pre bonifica», sostiene la Procura di Napoli che, alla luce dei rilievi dei consulenti tecnici, ha ipotizzato il reato di truffa ai danni dello Stato. Vengono contestati dai pm anche il falso, in merito alle certificazioni di analisi e alle attestazioni di avvenuta bonifica, la miscelazione di rifiuti industriali in relazione all'avvenuto interramento di rifiuti industriali nell'area del Parco dello Sport, il favoreggiamento reale, oltre al disastro ambientale. E qui toma il caso delle fotografie. Forse i bidoni bianchi contengono i rifiuti industriali cui fa riferimento la Procura? Di certo uno degli episodi emersi nel corso delle indagini riguarda un ingente quantitativo di morchie — residui della lavorazione dei metalli pesantemente inquinate da idrocarburi — mescolati al terreno e sotterrati di nascosto nel Parco dello Sport. L'illecito sarebbe avvenuto, secondo la ricostruzione dei magistrati, grazie a false certificazioni che qualificavano le morchie oleose come terreni «di riporto». Gli interventi di bonifica non hanno fatto altro che aggravare la contaminazione dei terreni. Tanto che sussiste un «pericolo ambientale con una immensa capacità diffusiva che coinvolge l'ambiente e l'integrità della salute di un numero non individuabile di persone» scrivono i magistrati. I pm parlano di «aggravamento dello stato di contaminazione dei terreni aU'esito della bonifica rispetto allo status quo ante».

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