Terra dei fuochi, sfida al governo «Siamo tanti: ora Roma ci ascolti»
Per i comitati e i movimenti che hanno organizzato la marcia contro il biocidio, quel fiume in piena che ha attraversato e riempito sotto una selva di ombrelli le strade eie piazze di Napoli, i 70mila partecipanti sono un capitale che non deve assolutamente essere disperso. Così si sta già lavorando a un'assemblea pubblica che si terrà il 30 novembre alla Galleria Umberto. Sarà l'occasione di mettere nuove iniziative(non è esclusa una manifestazione nazionale) e capire come va costruito.su quali linee, il rapporto con le istituzioni, con chi deve decidere gli interventi nella Terra dei fuochi. C'è una disponibilità del ministro dell'Ambiente, Andrea Orlando. «Non siamo disposti a essere spettatori» chiarisce subito Antonio Musella del Comitato «Stop biocidio». «I progetti annunciati hanno bisogno di un controllo e devono intervenire anche organismi terzi. Il govemo, nel suo insieme, non il singolo ministro, deve ascoltarci e intervenire, rispettando la volontà popolare».
Il punto è, però, che non c'è più nessuna fiducia nelle istituzioni, in tutte. L'altra sera, in piazza del Plebiscito, durante l'intervento dal palco di don Maurizio Patriciello ci sono stati fischi e urla quando sono stati pronunciati i nomi del presidente Giorgio Napolitano e del cardinale Crescenzio Sepe. «Erano urla di indignazione» spiega Musella che pure era sul palco «perché la gente sa chele responsabilità di questa devastazione ambientale non sono soltanto opera della camorra. á sono responsabilità delle istituzioni». Ma chi era a fischiare? Secondo molti testimoni era un ristretto gruppetto antagonista. I soliti noti. Ma Musella dà una versione diversa: «Non erano ragazzi dei centri sociali. Hanno fischiato in tanti, perché ormai la radicalità non si esprime sia con la contestazione che con la rivendicazione di diritto. La verità è che non c'è più fiducia nello Stato». Lo conferma anche Gianmaria Tammaro del movimento «Fiume in piena»: «Nella piazza c'era molta emotività. La gente è consapevole delle responsabilità diffuse, dei silenzi che hanno coinvolto i vertici dello Stato nazionale e della Chiesa napoletana».
Il movimento ha diverse teste. Lo si capiva anche dalla gestione del corteo. Ma è una ricchezza, una risorsa, finché dura, e non un limite. Rischi di fratture? «Non ne vedo, anzi, non d aspettavamo tanta gente» aggiunge Tammaro. «E ci ha fatto particolamiente piacere la presenza di comitati di altre regioni. Siamo riusciti a evitare cheilcorteo fosse strumentalizzato da parati e che si scatenasse una deriva violenta». A onor del vero, l'aria che si respirava in strada era altamente pacifica. Tanta gente comune e tante persone che non avevano mai partecipato a marce, a testimoniare quanto sia diffusa la richiesta di cambiamento di rotta nella gestione dell'ambiente e delle risorse in Campania. «Bisogna andare a un confronto con le istituzioni, certo» aggiunge Musella. «Il movimento è stato capace di costruire la più grande manifestazione degli ultimi dieci anni a Napoli. Tutti adesso vogliono metterci il cappello. Mi ha fatto sorridere il comunicato del governatore Stefano Caldoro. Sembrava che fosse sta to lui l'organizzatore del corteo. Ma per noi lui non è neanche un interlocutore, almeno fino a quando non ritira il piano perl'inceneritore a Giugliano».
La marcia di sabato è stata, finora, il punto più alto di una presa di coscienza generalizzata. Da ora, per chi è stato in piazza, comincia una fase nuova, che va oltre la conta e le emozioni, il movimento deve misurarsi sulle capacità di rendere praticabili le sue proposte. Il rischio, altrimenti, è quello di una deriva in mille foci che portano il fiume in piena a dissolversi nel deserto.