Il prete scrive al pentito: «Aiutaci a trovare i veleni»
NAPOLI — «Caro Cannine, fratello mio, è giunta l'ora che si facciano avanti tutti quelli che hanno avvelenato le nostre campagne, aiutaci a scoprirli, vieni con noi».
La lunga lettera-aperta è stata scritta ieri da don Maurizio Patriciello, il sacerdote di Caivano da anni in prima linea contro i roghi tossici e l'interramento dei rifiuti industriali. Il «Caro Cannine» destinatario della missiva è Cannine Schiavone, il boss casalese pentito da anni che intervistato da «Sky tv» ha ammesso pubblicamente di aver contribuito ad avvelenare il sottosuolo di una vastissima area: da Pozzuoli fino alle campagne di Latina.
Don Patriciello non ha avuto timore a rivolgersi direttamente all'uomo che, fino a pochi anni fa, aveva guidato il potentissimo clan dei casalesi insieme a Francesco Schiavone, detto Sandokan, ora in cella.
Il sacerdote del Parco Verde di Caivano ha chiesto al pluripregiudicato di fare nomi e cognomi, soprattutto di non restare nel vago con la sua denuncia pubblica ma di indicare i luoghi precisi dove sono stati sotterrati i rifiuti tossici e nocivi e quelli che — secondo il suo racconto — arrivavano dalle aziende del Nord. «Caro fratello esci dal generico — scrive il prete — dicci chiaramente dove, in quale contrada e in quale terreno sono stati sversati i veleni che stanno portando a morte la nostra gente, i nostri giovani e i nostri figli. Sai che un popolo numeroso e impaurito lotta ogni giorno per arrivare a qualche soluzione. Oso chiederti di aggiungerti a noi».
Poi uno dei passaggi più delicati destinati: «Vieni anche tu. Facci da guida, impegnati oggi per il bene come ti sei impegnato in passato per il male».
Don Patriciello scrive anche al camorrista di capirlo quando questi in tv ha affermato: «Se potessi tornare indietro non mi pentirei, perché le istituzioni ci anno abbandonato». Invece per il sacerdote mafia e camorra non sono invincibili e anche in Campania si riuscirà a uscire dal buio, a patto però che si faccia luce sull'avvelenamento della terra.
L'iniziativa del sacerdote antiroghi è solo l'ultima di una serie di uscite pubbliche per tenere alta l'attenzione sulla catastrofe ambientale nella «terra dei fuochi» l'area a Nord di Napoli e a Sud di Caserta (anche se i confini sembrano drammaticamente allargarsi dopo le rivelazioni del pentito che ha parlato di veleni sotterrati anche a Latina). «Vedrete che moriranno anche nel Lazio» ha commentato in maniera macabra il pentito. In attesa che diano qualche risultato tangibile gli studi della Commissione Ambiente del Senato e che il ministero per l'Ambiente faccia passi concreti per la bonifica, don Patriciello solo qualche giorno fa ha proposto un'altra iniziativa: inviare migliaia di cartoline conle immagini più crude dei veleni e dei roghi tossici al Capo dello Stato Napolitano, al premier Letta e ai presidenti di Camera e Senato. «Dobbiamo fare ogni sforzo affinchè la tragedia dei nostri territori non venga dimenticata o sottovalutata» continua a ripetere il sacerdote. I tempi della politica e quelli dei cittadini mai come in questo caso non coincidono. Nella terra dei fuochi si continua a morire di tumore con un'incidenza di casi e una virulenza del male che viene definita da molti medici del territorio «anomala».
Carmine Schiavone il pentito dei casalesi ha rilasciato un'intervista a Sky Tg24. L'uomo è Cugino di Francesco, detto Sandokan. Schiavone prosegue poi con alcune dichiarazioni scioccanti sui rifiuti tossici sversati in Campania. «Nel Casertano, dal lungomare di Baia Domizia fino a Pozzuoli». Cita quattro siti: «Casale, Castelvoltumo, Grazzanise e Santa Maria la Fossa», ma lascia intendere che il business della camorra si estendeva ben oltre. «Tutte quelle cave di sabbia che stanno dal lungomare di Baia Domizia fino a Pozzuoli... è tutto interrato. I camion scaricavano i fusti tosaci, a Casale fino a 18 metri. Le casse di piombo si sono aperte negli anni, ecco perché muoiono tutti di cancro, come moriranno anche a Latina». Poi prosegue: «lo sono stato sempre mafioso — prosegue — forse non tutta la vita, ma certamente per più di vent'anni. Queste grandi società del Nord venivano a buttare i rifiuti al Sud. Scarti farmaceutici, chimici e ospedalieri. E poi i fanghi termonucleari. Arrivavano nel basso Lazio, ma venivano smaltiti principalmente da noi».