Inceneritore, l`impianto nella terra degli scempi
GIUGLIANO. Ponte Riccio dicono che presto cambierà nome: «Ponte dell'inceneritore». La scelta di costruire qui il mostro che dovrà bruciare sei milioni di ecoballe non è stata casuale. Il ponte che sovrasta la massicciata della Napoli-Roma via Formia è il centro ideale della terra dei fuochi e degli scempi. Ai piedi c'è la centrale turbogas dismessa dall'Enel: dovrà fare largo al nuovo impianto. Più in là c'è una masseria diroccata, simbolo dell'agricoltura un tempo florida. Dall'alto del ponte basta alzare lo sguardo e girarsi intomo per fare la triste, tragica conta delle discariche, dei buchi neri dell'immondizia e La località Ponte Riccio al centro della pianura devastata dai traffici dei clan dell'ecomafia con Villa Literno. E ancora lo Stìr, la discarica abusiva a ridosso del campo nomadi, a ovest i laghetti dei bidoni tossici sepolti nella pineta e nella macchia mediterranea a poche centinaia di metri del mare, il depuratore di Cuma, i Regi lagni trasformati in fogna. Senza contare le altre discariche mai censite e direttamente gestite dalla camorra.
È la geografia dell'immondizia nel cuore della Campania Felix. E sono le mille ragioni di Giugliano per dire no all'inceneritore. Ma anche le mille ragioni per dire sì. E le centomila lacrime di coccodrillo. No, perché il termovalorizzatore è solo l'ultimo atto su una terra da 35 anni martoriata da veleni e rifiuti. No, perché avevano promesso e giurato Corrado Catenacci prima e Guido Bertolaso poi quando si trattò di far accettare Settecainate e cava Riconta contro le quali si arrivò alle barricate e alle bande chiodate che mai più Giugliano e i comuni vicini avrebbero ospitato un impianto di smaltimento. No, perché non può essere sempre lo stesso territorio il depositario dell'immondizia altrui. Sì, perché se non qui dove fare l'inceneritore? Sì, perché qui c'è oltre la metà delle ecoballe campane da bruciare. Sì, perché non si possono portare da una parte all'altra tanti veleni se non appestando l'aria con i fumi dei tir in mezza provincia e regione. E allora centomila lacrime di coccodrillo in questa terra dove lo scempio è stato taciuto e nascosto. Dove i veleni sono stati coperti con il silenzio dei venduti e la paura della camorra. Dove chi doveva controllare e bloccare l'ecomafia non lo ha fatto per convenienza e per soldi. Dove hanno colpevolmente taciuto la politica e gli apparati. E dunque non restano che la protesta, il rimpianto e l'incubo delle malattie e dei tumori che, sarà anche solo per stati stica e non per effetti scientificamente provati, qui hanno percentuali alte di incidenza.
Ponte Riccio, «Ponte dell'inceneritore», un po' di fabbriche a Sud, due alberghi, campi e abusi edilizi a nord, cumuli di rifiuti, scarti, pietre, alberi sradicati, piloni della superstrada divorati dai fuochi. Se e quando il termovalorizzatore sarà fatto (quattro anni?), sarà anche un po' il monumento all'immondizia, perenne memoria di una terra contaminata. La stessa terra che per millenni ha dato i frutti migliori e sfamato generazioni di famiglie. «Fuggiranno gli ultimi agricoltori», avverte il gestore di un deposito. La stradina che porta alla ormai ex centrale turbogas è contesa tra prostitute africane e giovani dell'Est che per un posto tra l'immondizia versano cento euro al giorno alle bande dei protettori. All'ingresso tre cumuli di scarichi fuorilegge e i resti di un rogo, uno dei tantissimi della terra dei fuochi. E pensare che questo colosso di metallo dovrà andare giù perfare largo alle ciminiere del futuro inceneritore. In questi giorni di ferie i camorristi avranno modo di pensare e programmare come mettere le mani anche su questo affare.
Trecentosedici milioni di spesa per l'inceneritore. «Vale la pena?», si chiede un agricoltore appena informato del progetto. «Vengo per passione nel mio terrono, non vendo più la frutta - avverte dicendo di chiamarsi Mimi -. Quando ci sarà i'inceneritore mi dovrò tenere pure alla larga?».
L'inceneritore peggio dei perenni roghi tossici? L'inceneritore peggio dei bidoni industriali sotterrati nei frutteti a 30 milioni di lire a carico? Peggio dei soldi che hanno ingrassato l'ecomafia? Peggio delle tangenti incassate sui trasporti di monnezza, della vendita delle cave per le discariche e dei suoli per gli stoccaggi? Forse è questo che chiederà di discutere l'assessore regionale all'Ambiente Giovanni Romano ai comitati che si rivoltano contro il progetto. Una mano tesa da una parte. Tanta perplessità dall'altra. «Un sistema di garanzie per l'ambiente e la salute», promette l'assessore Romano. Operazione difficile - nessuno si fa illusioni - la riconquista della fiducia della gente.
E sì, basta risalire su Ponte Riccio, guardare verso gli sbuffi di fumo che vengono dalla terra intorno alla Resit (solo di recente molte fumarole sono state spente) per avvertire la sofferenza di questa terra e della sua gente. Analisi di enti pubblici dicono che broccoli ed erba intomo non sono contaminati. Ma la falda sì, l'utilizzo dei pozzi è vietato per precise ordinanze: niente uso irriguo, nell'acqua che scorre nella falda ci sono sostanze pericolose. Vicino alla Resit la montagna dell'immondizia, Masseria del Pozzo: per dieci e passa anni, dal 1990, nel pieno della più buia, infinita emergenza ha ingurgitato i rifiuti di quasi tutta la Campania e solo ora è stato presentato il progetto di bonifica. Nelle sere d'estate e d'inverno si avverte l'odore nauseabondo portato dal vento, il biogas che sale verso il cielo o trascinato verso il mare con centinaia di gabbiani a caccia dell'ultimo residuo di sacchetti. E ancora il fumo nero dei roghi che sale alto trascinato verso l'abitato.
Ponte Riccio, com'è lontana da qui Napoli Est. Eppure nel bando pubblicato in Gazzetta ufficiale cinque giorni fa non compare il nome Giugliano, non compare Ponte Riccio. Nessuna traccia di queste località. Napoli disse no, «non in casa mia l'inceneritore». Battaglia ideologica e concreta vinta nel capoluogo, battaglia persa e progetto subito a Giugliano. «A noi uno schiaffo, un affronto. Le ragioni degli altri non valgono quanto le nostre scuote la testa un altro agricoltore, "Giannino, a servirvi", sorride scuotendo ironicamente la testa per recitare vecchie espressioni dei contadini -. Gli altri fanno la monnezza, poi la smaltiscono sulla nostra pelle. Ma a noi che ce ne viene? Soldi? Si arricchiscono i soliti, noi altri ci rimetteremo la salute».
Ponte Riccio, ponte della ferrovia. Chissà, utilizzando questi binari e brevi bretelle faranno in modo da evitare l'uso dei tir per trasportare le ecoballe da Taverna del Rè. Detto così è una soluzione logistica perfetta e auspicabile. Ma si farà così? Sul ponte arrivano folate di cattivi odori, laggiù lo scintillio delle onde del mare. Ol tre il lago, il Patria, c'è Litemum, città d'esilio dell'eroe che sconfisse Annibale a Zama, Scipione l'Africano. Di liternum resta il foro, tanto ancora è sepolto sotto la palude, gli abusi edilizi e, chissà, l'immondizia. Scipione avrà calpestato queste zolle. Disse a Roma: «Ingrata Patria non avrai le mie ossa». Da vivo, avesse visto scempi e degrado intorno a Liternum, avrebbe gridato: «Ingrati, la monnezza ci rovinerà».