Da Caivano alla Resit di Giugliano veleni e falde acquifere inquinate
Non esiste un solo epicentro della Terra dei fuochi. Purtroppo ne sono più di uno. In un poco edificante tour della «monnezza assassina», o si inizia da Caivano o dalla Resit di Giugliano lo scenario non cambia. Almeno per quello che è stato sparso a vista d'occhio. Veleni che non sono meno pericolosi di quelli interrati. Discariche che resistono sotto i pond dell'Asse Mediano a Caivano e che ogni tanto prendono fuoco, mentre sotto il cavalcavia della sopraelevata a Trentola Ducenta - e siamo nel Casertano - il rogo è quo tidiano. Ma nessuno si è presa la briga di controllarne la staticità, sicuramente compromessa dal costanze calore di roghi. Una piccola Casale Monferrato si trova tra Caivano e Orta diAtella, migliaia di metri cubi di amianto - di tutte le forme e di tutti i tipi - sparsi per tutti i campi abbandonati. La gente denuncia, ma nessuno interviene.
Un piccolo balzo e già ci troviamo al Trivio delle Janare, fattucchiere in napoletano. È il punto di incontro di tre strade. Una proviene da Acerra (un passato da polo chimico e nel presente un inceneritore) sui cui pascoli nascono ancora agnelli a tre teste o con altre mostruosità, e dove in passato la falda acquifera sbuffava pestilenziali vapori a cento e più gradi dai pozzi artesiani. E anche quel fenomeno è rimasto avvolto nel mistero. La seconda strada arriva da Caivano, mentre la terza fionda da Afragola. Qui, tre mesi fa, i carabinieri scoprirono una fornace della morte, attiva 24 ore su 24, ricavata dai locali in cemento armato della villa del clan Moccia. Un bene confiscato alla camorra ma, di fatto, lasciato in mano alle bande di rom che bruciavano quintali e quintali di cavi di rame. Intorno alla villa sono sparsi migliaia di metri cubi di rifiuti speciali a diretto contatto con il terreno. Insomma, quello che è stato scoperto a Caivano ha qualcosa di mostruosamente eccezionale. Quello che accade tutti i giorni nella Terra dei fuochi è semplicemente pure mostruoso.
L'eco suscitata dalla scoperta della maxidiscarica, nella stessa area dove erano scattati precedenti sequestri di campi di pomodoro e cavoli al piombo e al tretracloroetilene, ha fatto muovere una decina di pediatri della zona che l'altra sera si sono incontrati con don Patriciello. Segnaleranno i casi di cancro nei bambini, alla stregua dei medici di famiglia per gli adulti. E un'altra clamorosa smentita agli «stili di vita sbagliati dei napoletani» arriva dalla prestigiosa rivista Lancet Oncology. Nell'ultimo numero ha pubblicato un'accurata ricerca sull'incidenza del cancro tra le popolazioni esposte al ciclo aria-acqua-suolo, fortemente e irrimediabilmente inquinato da sostanze chimiche e scorie industriali. Una cosa che nell'area 048 - il codice esente ticket per cancro - già sapevano con certezza.
Intanto i lavori di scavo nella discarica della morte sono proseguiti anche nella giornata di ieri, sotto il vigilesguardo degli uomini della Fo restale e dei tecnici dell'Arpac. La cosa più sconvolgente nel caso della maxidiscarica tossica è stata la scoperta di decine di metri cubi di terreno indenne, ammonticchiato ai lati di questa collinetta del disonore. Il terreno, secondo gli uomini della Forestale di Napoli, diretta da Sergio Costa, serviva per «ravvivare» lo strato superficiale dei campi contaminati e permettere la coltivazione degli ortaggi, proprio sopra quell'enorme bubbone di veleni. La prova provata che proprietari, mezzadri, affittavoli dei fondi avvelenati sapevano bene come stavano le cose. E sapevano bene anche come mettere la classica pezza a colori su quello scenario di morte.