Ispra, rapporto da brividi: anguille e cozze al piombo Nei fiumi cadmio e rame

L’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale conferma che nelle acque ci sono potenti veleni industriali
3 luglio 2013 - Luca Marconi
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

NAPOLI — Il problema, delle cozze, dei frutti di mare, o delle anguille e dei cefali - sempre sconsigliati dai pescivendoli, chissà perché - ora non sembrano essere più soltanto i coliformi fecali. C'è, solo per la cronaca (ma non è una novità) una new entry, i metalli pesanti: cadmio, cromo, mercurio e piombo derivanti dalle fogne e da scarichi industriali o abusivi che fanno strage degli stessi colibatteri.
In parte ce lo dicono sequestri e analisi ordinate dalla Procura, ma soprattutto in buona parte lo dice l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale) con l'indagine, nella Regione Campania, denominata "Diossine, furani e policlorobifenili", patrocinata dal ministero all'Ambiente (2012). Contiene analisi a tappeto, dai residui dei roghi tossici ai carotaggi nelle aree agricole prossime a discariche, su zone industriali o ex industriali e si conclude, da pagina 375 in poi, con due corposi capitoli dedicati alla "Ittiofauna" ed ai vegetali (e qui è molto curioso che nemmeno ad Acerra o Caivano, dove sono stati sequestrati cavolfiori al toluene che crescevano su un tombamento di tonnellate di rifiuti tossici, un'anonima e giovanissima università piemontese abbia trovato valori sopra i limiti soltanto su tre campioni di zucchine e melanzane, diossina-attrattori. Ma ci arriveremo poi). Per l'ittiofauna invece (qui l'università che firma la ricerca è della Calabria) la colpa dell'inquinamento partirebbe dalle concerie di Solofra per ingrossarsi lungo il corso dei fiumi. «Negli ecosistemi acquatici, i composti diossina-simili (Pcdd/Pcdf, Dl-Pcb) - si legge nello studio dell'Ispra - hanno tendenza ad accumularsi soprattutto nei tessuti grassi dei pesa. L'anguilla, i cui tessuti muscolari hanno una concentrazione di lipidi elevata, costituisce un efficace indicatore della presenza di contaminanti organici negli ecosistemi acquatici e al tempo stesso contribuisce significativamente al rischio sanitario che interessa le popolazioni». Le anguille sono tuttora allevate, pescate e vendute lungo tutta la costa campana, che «prima del recente collasso dei popolamenti aveva uno dei centri di produzione più importanti del Mezzogiorno in prossimità della foce del Sele». Condotto tra dicembre 2008 e ottobre 2009 lo studio fornisce dati «preliminari» sui veleni presenti in 27 campioni di pesce dai maggiori fiumi campani. Tra quelli analizzati, i campioni che presentano concentrazioni che superano il livello d'azione (stabilito dalla Uè «al fine di stimolare un approccio proattivo volto a ridurre la presenza di diossine e Dl-Pcb negli alimenti») sono l'anguilla pescata in mare appena davanti alla foce del Sarno, «campione che normalmente sarebbe stato venduto al mercato o consumato direttamente dai pescatori»; il barbo preso nel Volturno a Sant'Angelo, sopra Capua, con valori ben oltre i limiti; il cefalo e le anguille presi alla foce del Volturno e le anguille pescate al Lago Patria. I bacini più contaminati: Regi Lagni, Destra Sele e Volturno. Il primo mostra «un accrescimento progressivo delle concentrazioni scendendo verso la foce» col maggior contributo (45,1%) alla tossicità totale «dovuto al Pcb 126 ed i Pcb 153 e 138 che appaiono predominanti nel barbo, noti per essere causa di danni epatici e neurologici gravi». Ora, il Pcb 126 è il pentade robifenile della tristemente famosa ditta Caffaro di Brescia, considerato il più tossico della categoria, che il pentito Vassallo dava per sparso in metà del territorio campano. E non ci sarebbe da meravigliarsi più di tanto se si conoscessero i precedenti: ad esempio nella laguna di Orbetello, ricorda lo stesso Ispra, nelle anguille è stata trovata traccia di Aroclor 1260, una miscela commerciale prodotta in gran quantità dalla statunitense Monsanto a partire dagli anni 1930 fino al bando del prodotto nel 1977. Come ci è finita a Venezia? Misteri - ma ormai neanche più - tutti italiani, per come questi rifiuti riescono ad essere smaltiti nel Belpaese in regime di evasione fiscale: non essendovi impianti italiani di trattamento di rifiuti spedali, il loro smaltimento costa, alle aziende, fino ai tremila euro a tonnellata, contro i 150 euro a tonnellate dei rifiuti solidi urbani. Mentre dei 5 milioni di tonnellate di spedali prodotte in Italia ogni anno (fonte Ispra) se ne perdono puntualmente le tracce, o la "tracciabilità" - vedi scandalo Sistri-Selex - di almeno un milione di tonnellate all'anno. «Le concentrazioni riportate nel presente studio - prosegue l'Ispra - vicine al superamento dei livelli d'azione raccomandati dalla Commissione Europea, ed ancor più le concentrazioni rilevate nei sedimenti acquatici campani, indicano un potenziale rischio di contaminazione della fauna ittica di acque interne e costiere, sia di cattura, sia di allevamento». Il relatore sta parlando anche del mare. «Il Sele appare mediamente meno contaminato del Volturno e del Samo, ma la scarsità dei dati non permette un confronto affidabile della contaminazione nei pesa dei vari bacini». Sta dicendo che lo studio andrebbe approfondito. «Mediamente i pesci concentrano più Pcb rispetto alle concentrazioni rilevate nelle altre matrici analizzate in Campania e soprattutto nei sedimenti acquatici, nei suoli, nei foraggi e nel latte». Il Comitato scientifico sull'alimentazione umana della Commissione Europea ha pubblicato un rapporto sui rischi connessi alla presenza di diossine nel cibo (2000) concludendo che «il quantitativo tollerabile che può essere ingerito settimanalmente senza comportare rischi rilevanti non deve superare i 14 pg per kg di peso corporeo». Va da se, che le prime vittime di un'alimentazione ricca di diossine, sono i bambini. E il consumo di pesce, e soprattutto di anguille contaminate, «costituisce uno dei meccanismi più rilevanti di trasferimento di tali contaminanti e può essere dannoso per l'uomo a causa delle abitudini alimentari della popolazione campana» che comunque «tende a prediligere il pesce di acque costiere» ma «un'eccezione rilevante è costituita dal capitone e dal cefalo, molto apprezzati in tutta la regione» e inoltre, recenti flussi migratori «stanno facendo crescere una comunità locale per la quale anche la carpa, il siluro, ed altre specie costituiscono un cibo affine e a buon mercato, consumato regolarmente». Pertanto secondo i ricercatori calabresi «sarebbe opportuno intensificare i controlli al fine di verificare la presenza di composti ad azione diossina-simile nei pesci delle acque costiere, da estendere anche ai molluschi». E sul fronte mare, l'ittiofauna non sta meglio. A Napoli, è compromessa: dalle lunghe scie chimiche nelle acque di Portici-San Giovanni non balneabili e dove l'Arpac certifica metalli pesanti nella falda, che si cerca di arginare (!) allo sbocco a mare; o in costiera sorrentina, dove già in passato sversamenti abusivi in pubblica fognatura o vere e proprie effrazioni agli impianti (regolarmente denunciate) hanno fatto "impazzire" i depuratori chimico-batteriologici, con fanghi che si sono riversati in mare assieme a cromo e vernici (un recentissimo studio del medico analista Alessandro Bifulco, "Depurazione: Legislazione e Realtà", edito da Unitre, è particolarmente dettagliato); sino al porto, dove l'acqua è curiosamente color ferro per tutto il suo bacino ancora interessato dagli scarichi del petrolchimico oltre che dai cantieri navali; e sino a via Caracciolo, il lungomare "liberato" orgoglio del Comune: sotto un tombino davanti allo specchio d'acqua che l'Arpac pure - tanto per cambiare - dava balneabile, alla fine dell'estate scorsa si scoprono 120mila litri di liquami di rifiuti speciali, una vasca dall'odore acre e irrespirabile, che fa laai- mare. Qualche giorno prima i carabinieri in muta si immergono per accertamenti subacquei ed uno dei sommozzatori prova ad avvicinarsi alla vasca, la sua attrezzatura viene immediatamente "bruciata" da qualcosa di tossico. Parliamo della Rotonda Diaz, zona di tuffi, dove da sempre il mare emana un odore troppo pungente. Il 26 giugno scorso invece due impianti di allevamento di mitili e 300 tonnellate di alimenti sono sequestrati dalla Capitaneria di Porto su richiesta della Procura perché i molluschi venivano allevati a pochi metri dalle fogne. Uno è a Nisida, l'altro a Castel dell'Ovo, davanti ai ristoranti del lungomare dove in passato, secondo una vecchia inchiesta della Procura, una parte dei ristoratori le cozze le prendeva direttamente da questi allevamenti e senza fare stabulazione. Uno degli impianti è gestito dalla cooperativa ormeggiatori. A Nisida le cozze venivano allevate a meno di 500 metri dagli scarichi fognari di Posillipo e del carcere minorile. Nel secondo caso i due specchi d'acqua in concessione erano a poca distanza da cinque fod di scarico fognario urbano a Santa Lucia. Ma soprattutto, dalle analisi effettuate nell'acqua è emersa «un'elevata concentrazione di germi patogeni, in particolare enterococchi ed escherichiacoli che, filtrati dai molluschi, restano al loro intemo alterandone le qualità e rendendoli pericolosi per la salute» ed «estremamente alta la presenza di piombo e rame». I precedenti: nel 2006 vengono effettuate analisi in 7 località della costa della Regione, tra cui Napoli-Piazza Vittoria e Portici. Risultano avvelenate da idrocarburi policiclid aromatici attribuiti «all'intenso traffico veicolare» e non alle grandi navi che restano attive anche all'attracco alle banchine non elettrificate del porto, ne al petrolchimico. Nei sedimenti del mare a Napoli-Piazza Vittoria si rileva la presenza di piombo (87mg/Kg), mercurio, Ipa (0,53mg/Kg). Nei mitili, piombo (4,6mg/Kg) e mercurio, zinco, cadmio e arsenico (fonte Por 2000-2006). Nello stesso anno spunta anche il benzopirene, trovato nei molluschi di Bagnoli durante i monitoraggi dell'Icram, presenza, invece, giustificata da scarichi industriali e da un «notevole traffico marittimo». È importante ricordare che l'inquinamento dell'aria a Napoli è attribuito per il 40% alle navi che sostano nel porto, obbligate a tenere i motori accesi di giorno e notte. Recentemente il giovane Osservatorio oncologico comunale ha accertato picchi anomati, tra l'altro, di cancro al fegato. I ricercatori meridionali incaricati dall'Ispra concludono invitando a proseguire le indagini.

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