Di Gennaro: fu Prodi a darci le priorità

18 giugno 2008 - Titti Beneduce
Fonte: Corriere del Mezzogiorno
La gestione dei rifiuti nell'era Bertolaso, ritenuta illecita dai magistrati, a volte non fu affrontata «con la dovuta calma». Su certi problemi «non si è riflettuto», colpa anche delle condizioni di lavoro proibitive e delle emergenze continue; del resto lo stesso «Prodi indicò l'obiettivo primario da conseguire come quello di liberare le strade della città e dei paesi della Campania».
Dai verbali dell'interrogatorio reso il 4 giugno scorso al gip Rosanna Saraceno, alla presenza dei pm Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, emerge la verità dell'ex subcommissario ai rifiuti Marta Di Gennaro (nella foto). Arrestata lo scorso 27 maggio, la Di Gennaro è rimasta ai domiciliari fino al 10 giugno, quando, come altri 15 indagati che avevano fornito chiarimenti durante gli interrogatori, è stata rimessa in libertà dallo stesso gip. Medico, figlia di un magistrato e madre di due ragazze che sono commissari di polizia, Marta Di Gennaro rivendica onestà e senso dello stato: «L'incarico che ho espletato non mi ha giovato nè sotto il profilo della carriera nè per il profitto. Nondimeno ho svolto il mio compito con il massimo scrupolo». Rivendica anche una gestione oculata delle spese: «Ho svolto gran parte della mia attività in via Medina, in uno stabile messoci a disposizione dall'Agenzia del Demanio. Ci rendemmo conto che la precedente gestione commissariale (quella di Catenacci,
ndr) aveva sostenuto consistenti spese. Mi riferisco soprattutto all'affitto della sede di via Filangieri e ad altre sedi. Ritenemmo subito di poter lavorare in una sede più modesta e ci trasferimmo nel palazzetto di via Medina. Che, devo dire la verità, era una sede angusta: condividevo il mio ufficio con una decina di persone e non c'era aria condizionata ». Spesso i rifiuti finivano negli impianti senza subire alcun trattamento, ma solo triturati: «Dovevamo venire incontro alle aspettative della popolazione. Il rifiuto triturato generava maggiore fiducia nella popolazione che abitava la zona di destinazione. La gente era ossessionata dai sacchetti, dal conferimento del tal quale e anche dalle balle e quindi accettava più facilmente un prodotto triturato». C'è poi la spinosa questione dei carabinieri del Noe, dei quali a un certo punto Bertolaso ritenne di poter fare a meno. Da alcune conversazioni intercettate emergeva il fastidio della Di Gennaro per i controlli che l'appuntato Giovanni Parascandola faceva negli impianti di sua iniziativa, spesso libero dal servizio e con mezzi propri. Le relazioni di servizio venivano inviate al commissariato, ma quando la polizia giudiziaria le chiese ebbe notevoli difficoltà ad ottenerle. A mettere i bastoni tra le ruote a Parascandola era soprattutto il maresciallo Rocco De Frenza, che davanti al gip si è avvalso della facoltà di non rispondere. Nel commissariato c'erano due fazioni: i Noe amici e quelli nemici. Marta Di Gennaro lo spiega così: «Con alcuni militari distaccati si era creata una situazione di incompatibilità; avevo individuato una certa vischiosità nel loro comportamento. Questo personale agiva autonomamente e senza coordinamento e quello che lamentavo era la confusione che creavano. Parascandola eseguiva accertamenti di iniziativa senza che vi fosse una relativa missione e peraltro relazionava su questioni già note o che non interessavano il commissariato». Il gip fa notare che non c'è nulla di anomalo: un carabiniere può eseguire attività di iniziativa. Di Gennaro, figlia di un magistrato e madre di due commissari di polizia, non ci aveva pensato: «Non avevo posto l'attenzione sul fatto che un militare potesse svolgere autonoma attività di polizia giudiziaria».

 

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