Spartacus, in aula l’ultima sfida di Sandokan

Processo d’appello, Schiavone contro i giornalisti: «Non sono una fiera in gabbia, non voglio le riprese di Telekabul»
17 giugno 2008 - Leandro Del Gaudio
Fonte: Il Mattino

Fedele a un copione già scritto, chiede di intervenire e per un attimo il monitor della videoconferenza riproduce la sua sagoma. E la sua voce. Francesco «Sandokan» Schiavone blocca l’ingresso della Corte in camera di consiglio con poche parole, cariche di rabbia: «Non voglio essere ripreso dai giornalisti, non sono una fiera da gabbia, non voglio essere ripreso da TeleKabul. Chiedo di non prendere più parte al processo». Aula Ticino uno, bunker di Poggioreale, ultimo atto del processo Spartacus, il più importante dibattimento contro la camorra dai tempi della Nco, roba da paragonare al maxiprocesso di mafia a Palermo. Parole che non smuovono i giudici della prima corte d’assise d’appello, presidente Raimondo Romeres, a latere Maria Rosaria Caturano (c’era anche Domenico Zeuli a comporre la Corte, oltre ai sei giudici popolari). Parole che danno però il senso di una sfida continua, di chi si sente irriducibile e vuole ricordarlo a tutti. Pochi minuti prima, infatti, il giudice Romeres aveva consentito l’ingresso di giornalisti e cineoperatori in aula, «vietando però immagini degli imputati». Stesso copione per un altro Francesco Schiavone, cugino omonimo di Sandokan, noto come Cicciariello, che dal carcere duro chiede di «uscire dal processo, per non essere ripreso». Poi la camera di consiglio, a conclusione di un’istruttoria scandita da clamorosi colpi di scena. Il più importante a marzo scorso, con la richiesta di sospensione procedurale a firma del boss Francesco Bidognetti e del latitante Antonio Iovine, un appello alla Cirami carico di contenuti intimidatori contro il giudice Raffaele Cantone, la giornalista del Mattino Rosaria Capacchione, e l’autore del best seller Gomorra Roberto Saviano. Poi, il maggio insanguinato. Con una strategia stragista - per usare le parole del capo della Dda Franco Roberti - contro imprenditori e parenti del pentito Domenico Bidognetti. Cala il sipario sul secondo grado di Spartacus, dunque, in un clima di tensione (cecchini e agenti scelti, traffico interrotto a Poggioreale) e spettacolo (giornalisti inviati anche dalle testate estere). È il processo dei grandi numeri. Spartacus in cifre è come il processo alla Nco: 123 gli imputati in primo grado, 36 in appello; 21 ergastoli in primo grado; 16 le richieste di ergastolo del pg Francesco Iacone su cui la Corte deve rispondere, oltre a 5 condanne già concordate (Francesco Biondino, Antonio Di Gaetano; Giorgio Marano, Giuseppe Papa a trent’anni; Orlando Lucariello a 28 anni). Tecnicamente i concordati non saranno ratificati dalla Corte per il decreto Berlusconi, che elimina la possibilità di patteggiare in appello, anche se le condanne terranno conto delle singole ammissioni di responsabilità fatte in aula. Oltre a Francesco Schiavone, attendono la sentenza anche Francesco Bidognetti, i due latitanti Vincenzo Zagaria e Antonio Iovine, e un assortito gruppo di collaboratori di giustizia. Ieri in aula non è passata inosservata la sagoma del pentito imputato Alberto Di Tella, mentre alle 11,23 il giudice dichiara finita l’istruttoria. Si va in camera di consiglio, due o tre giorni per scrivere la sentenza. In primo grado ce ne vollero undici. Anche questa volta, massimo riserbo e attenzione altissima a proteggere i giudici. Ancora qualche cenno storico: in primo grado, il processo presieduto da Catello Marano, giudice estensore Raffaele Magi, durò 7 anni e 2 mesi; in appello è durato un anno e un mese. Ma Spartacus non finisce qui. Un’altra novantina di imputati di reati associativi (non di delitti di sangue) attendono la sentenza di secondo grado. Atti non ancora a ruolo, rischio prescrizione altissimo, con decine di imprendori al servizio del clan che rischiano l’impunità. L’ultimo colpo alle indagini condotte in assoluto silenzio da Federico Cafiero de Raho, Lucio Di Pietro, Francesco Greco e Carlo Visconti.

 

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