Acerra. Disastro ambientale, il pm: "I contadini chiesero al boss di fermare i Pellini"

Racconto choc del pubblico ministero della Dda, Maria Cristina Ribera, durante la requisitoria finale al processo Carosello-Ultimo Atto, che vede alla sbarra i re Mida delle immondizie d'ogni sorta, i fratelli Giovanni, Salvatore e Cuono Pellini.
30 novembre 2012 - Pino Neri

“I contadini si sono rivolti al camorrista per far cessare l’attività illecita”. Agricoltori acerrani che piuttosto di rivolgersi allo Stato sono andati dal boss Pasquale Di Fiore, poi pentito, pur di scongiurare lo sversamento di veleni d’ogni sorta nei terreni: un milione di tonnellate di rifiuti tossici gettati in tre anni nella campagna della provincia di Napoli, da Bacoli a Giugliano, da Qualiano ad Acerra.
Una storia che il pm della Dda di Napoli, Maria Cristina Ribera, definisce esecrabile ma che è anche considerata emblematica di un contesto in cui i controlli della pubblica amministrazione sono carenti. La vicenda degli agricoltori che hanno chiesto aiuto al boss per far cessare il traffico dell’ecomafia è finita ieri nella lunga quanto dettagliata requisitoria finale che il pubblico ministero utilizzerà per chiedere la condanna dei fratelli Giovanni, Salvatore e Cuono Pellini e dei loro presunti complici in quello che è stato giudicato dagli ambienti antimafia uno dei più grandi traffici di rifiuti degli ultimi venti anni nel Napoletano. Tra gli imputati figurano anche due ex responsabili dell’ufficio tecnico comunale di Acerra e due carabinieri, sospesi dall’attività.
Anzi, i carabinieri alla sbarra sono tre, visto che uno dei principali imputati, Salvatore Pellini, è anche lui un militare dell’Arma. Furono tutti arrestati nel 2006 dai loro stessi colleghi, del Noe di Roma e del comando provinciale di Napoli, che hanno indagato a fondo non solo sul loro conto ma pure su quello di una serie di personaggi legati, nel business della monnezza, al clan Belforte di Marcianise. Uno di loro, Giuseppe Buttone, ha seguito la requisitoria in videoconferenza dal carcere di Opera. Buttone era in società con Pasquale Di Giovanni, considerato dagli inquirenti il plenipotenziario del traffico di rifiuti per conto del clan casertano.
Intanto Di Giovanni è da tempo collaboratore di giustizia ed ha spiegato al pm Ribera tutto il meccanismo del “giro bolla” cioè della falsificazione sistematica dei documenti di trasporto dei rifiuti: un milione di tonnellate di immondizie, in tre anni, che provenendo prevalentemente dalla Toscana e dal Veneto finivano nel grande sistema di cui i fratelli Pellini erano gli intermediari e gli smaltitori finali. Schifezze finite nei siti di Lenza Schiavone e di via Tappia, ad Acerra, di Bacoli e Giugliano, gestiti dalla società Pozzolana Flegrea, e di Qualiano, della Igemar. Mercurio, cadmio, alluminio, rame, zinco, idrocarburi, oli minerali, solventi, diossine, alcuni dei veleni rilevati dall’Arpac e dai periti di fiducia del pm.
“Il disastro ambientale è stato voluto dagli imputati”, l’arringa di Maria Cristina Ribera. La seconda e ultima parte della requisitoria si terrà il prossimo 27 dicembre.

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